Ventola: 'Ucciso dalla Giustizia Sportiva, ora mi riprendo tutto'
«Mi hanno ammazzato per un anno e mezzo, adesso mi rialzo...». A stento trattiene le lacrime Nicola Ventola, 35 anni fra un mese, ex bomber di Bari, Inter, Atalanta, Bologna, Siena e Novara. Proprio dopo l’esperienza con gli azzurri, al termine di una carriera agrodolce fra gol, vittorie e infortuni, un colpo tremendo gli cancellava tutto il passato: 3 anni e mezzo di squalifica con l’infamante accusa di illecito sportivo a seguito dell’inchiesta sul calcioscommesse per fatti legati ad una gara di Coppa Italia fra Chievo e Novara. Secondo il procuratore federale Stefano Palazzi, il bomber barese aveva preso parte al presunto accordo (con altri giocatori) per la partita disputata 30 novembre 2010 e terminata col risultato di 3-0 per i veneti. Sentenza pesantissima in primo grado, ma ribaltata, anzi annullata martedì pomeriggio dal Tnas. L’attaccante barese ha appreso la notizia negli Stati Uniti a Los Angeles, dove si è trasferito da alcuni mesi con la famiglia. Sono le due di notte quando risponde al cellulare, «con questa adrenalina e felicità non riesco a prendere sonno. Sono qui perché ho seguito mia moglie Kartika che ha trovato un bel lavoro, e poi mio figlio ha cominciato qui le scuole. Io ero senza lavoro, ho pensato a loro due... ma nel frattempo ho cercato di migliorare la lingua».
Sia sincero. Se l’aspettava che la sua personale vicenda finisse così bene?
«Io ho sempre avuto fiducia nella giustizia, anche nei momenti più difficili. Ma è giusto che dica alcune cose: la situazione di chi è stato indagato in quest’inchiesta era assurda, visto che nei primi due gradi non ti lasciano parlare col pubblico ministero. Solo il Tnas prende le carte in mano, ti ascolta e verifica. Nel mio caso ha voluto il confronto con Gervasoni: di fronte ai “non lo so”, “mi pare”, “ho sentito dire”, il Tnas ha capito che non c’erano riscontri oggettivi relativi alle accuse. E mi ha prosciolto, come spiegato nelle sedici pagine».Ma perché Gervasoni l’ha incolpata? Fu lui a dire che c’era un bottino di 150 mila euro da spartirsi fra diversi giocatori, alcuni proprio del club piemontese in caso di un risultato con più di due gol...
«Questo non lo so. E non voglio neppure dire che i pentiti non siano credibili. Però so che Gervasoni più parlava e più riacquistava la libertà...ha detto tante cose vere, che pure lo riguardavano, ma altre senza alcun fondamento. E’ giusto che paghi chi ha sbagliato, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio».Nel frattempo lei ha pagato ingiustamente...
«Ero arrivato al punto da odiare il nostro paese. Perciò a settembre sono andato via dall’Italia, anche perché avevo perso importanti opportunità di lavoro: a Sky facevo l’opinionista del campionato cadetto, ma avevo in programma di fare il corso per direttori sportivi o diventare agente Fifa. Tutto questo mi è stato impedito da quella assurda sentenza di primo grado».
E adesso è pronto per ricominciare?
«Fino a giugno resto a Los Angeles, nostro figlio deve terminare la scuola. Poi vedremo: magari stavolta riesco davvero a fare il corso di direttore sportivo o l’agente Fifa. Per fortuna le opportunità non mancano, ma vi confesso che avevo un bel peso da togliermi...»In quest’anno e mezzo qualcuno le ha girato le spalle?
«Ho visto tanta gente che c’è rimasta male, ma gli amici veri mi sono rimasti vicino, offrendomi anche occasioni di lavoro. Però ho avuto pure io un rifiuto di tutto, per questo sono andato via: è stato più un volersi isolare da parte mia che un allontanamento delle persone».
E’ tornato a credere nella giustizia?
«Dipende cosa s’intende. Molti “media” dopo i titoloni “Ventola condannato” si sono limitati a dire “Sconticino per Ventola”. E questo non è giusto, vuol dire che non ci si interessa come si dovrebbe. E questo mi fa soffrire. Penso a mia madre che non smetteva di piangere quando le ho detto che la condanna era stata annullata. Per fortuna il Tnas fa le cose per bene, ma devi arrivare in fondo. E’ l’unica giustizia vera».