Un altro scandalo!
Mercoledì 21 dicembre, prima giornata di serie A. Stavolta le tv non c’entrano, il calendario l’hanno manomesso i calciatori con il grottesco sciopero di fine agosto. Ricordate? I presidenti non fecero molto per ricucire lo strappo sul contratto collettivo. «Sfasciatutto», li definì Gianni Petrucci, gran capo dello sport italiano. Quattro mesi dopo forse ne ha guadagnato lo spettacolo in campo, visto che Udinese-Juve è sfida di vertice, ma quello fuori resta desolante. Il contratto collettivo non è stato ancora firmato, per questioni tecniche legate alla formazione dei collegi arbitrali. I giocatori fuori rosa - casus belli - continuano a esistere e a essere lautamente pagati, per questo la questione non finisce sul tavolo del sindacato, immaginiamo con il sollievo del sindacato medesimo. E tra sei mesi si dovrà ripartire da capo, visto che l’ultimo accordo ha valore transitorio. Tanto sciopero per nulla.
Ad agosto avevamo appena scollinato l’ennesima puntata del calcioscommesse, tempesta senza vittime illustri, se non l’Atalanta penalizzata di 6 punti e Cristiano Doni squalificato per tre anni e mezzo. Finita lì? Non illudetevi. Oggi a Cremona è prevista una nuova infornata di custodie cautelari, la ferita si riapre, i sussurri diventeranno grida se nella rete finirà qualche pesce grosso. Così pare, ma in certi casi è meglio attenersi alle carte, anziché farle. Si annuncia una settimana poco natalizia. Ed è decisamente una strana coincidenza che Franco Carraro, eminenza grigia del Palazzo e dei suoi anfratti, nei giorni scorsi abbia vaticinato nuovi bubboni, proponendo addirittura un controllo a campione di dirigenti e atleti. Come per l’antidoping. Ci avesse pensato lui, nei lunghi e distratti anni di presidenza della Federcalcio, forse Calciopoli non sarebbe scoppiata.
Al Coni non nascondono la preoccupazione. I club italiani di vertice sono gravati da sbilanci pesanti, i mecenati sono sempre gli stessi e sempre meno disposti a svenarsi; fatta eccezione per la Juve, mancano stadi moderni e la possibilità di autofinanziarsi. Restano le beghe, e gli scandali. Il tavolo della pace era stato studiato per parlare anche di futuro, definire una piattaforma, allargare gli inviti, affacciarsi nell’anticamera del governo Monti con un’immagine presentabile. Se non ce l’hai, come puoi chiedere una legge sugli impianti, la riforma del professionismo, la tutela del merchandising, in definitiva un minimo di attenzione nell’agenda drammatica del Paese? Il tavolo è saltato, pare non senza rimpianti. E se è vero che qualcuno vorrebbe tornare a sedersi, lasciando che il passato segua la sua strada, sarebbe il primo segnale confortante in questi mesi di kamikaze. Per la crescita del movimento, per la sua stessa sopravvivenza, non bastano tre squadre negli ottavi di Champions League. Servirebbe un po’ di fairplay e non solo finanziario.