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    Ulivieri: "Persi 14 chili, ma sono vivo. Sgridato da mia madre per la lite con Baggio"

    Ulivieri: "Persi 14 chili, ma sono vivo. Sgridato da mia madre per la lite con Baggio"

    Renzo Ulivieri si racconta al Corriere della Sera. Il presidente dell'Associazione Italiana Allenatori Calcio e direttore della scuola allenatori della Figc, 83 anni, ha dichiarato in un'intervista: "Me la sono vista brutta. Quattro mesi in ospedale e due a casa, tre operazioni per un problema grave all'intestino, per fortuna adesso risolto. Mi sono dovuto confrontare con la morte, che mi ha marcato stretto, come un difensore arcigno. Ho perso 14 kg e ho temuto di non farcela. La mia fortuna è stata che mi sono sentito male a Roma, allo stadio Olimpico, durante una partita della Nazionale e mi hanno ricoverato al Santo Spirito dove sono stati bravissimi. Ho fatto molte riflessioni, ho sposato la mia compagna Manuela, mamma della terza figlia, Valentina e ho anche tracciato un bilancio della mia vita. Che è stata bella: non mi sono arricchito, ma ho guadagnato bene e ho fatto quello che mi piaceva fare". 

    "Ho allenato uomini, donne, la Nazionale dei carabinieri e quella dei religiosi. E non ho finito qui: sto lavorando a un progetto innovativo che mi piace, il calcio camminato. Si gioca sei contro sei in un campo da calcetto, senza contrasti, senza correre, senza alzare il pallone da terra. È lo sport ideale per noi anziani, fa bene alla salute, fisica e mentale. Ma può essere utile anche per quei genitori che accompagnano i figli a calcio e poi in tribuna non trovano di meglio che litigare. Non siamo soli noi dell'asso allenatori: l'Uefa ha un progetto importante. Io mi sto allenando a Montaione e Spalletti ci ha regalato i palloni". 

    "Buffon ha raccontato che gli ho portato il busto di Lenin? È vero, eravamo al Parma, prima della finale di Coppa Italia con la Fiorentina di Mancini. Lui voleva che giocasse Guardalben, io gli ho risposto: allora sei un compagno, per te sono tutti uguali. Il busto di Lenin è ancora a casa mia. Una volta a Bologna ho invitato a cena Gianfranco Fini, c'era anche Guazzaloca che è stato sindaco: ho detto loro se dava fastidio potevo toglierlo. Fini, prontamente, mi ha risposto: lo lasci pure dov'è, è uno dei pochi leader che avete avuto". 

    "Sono un tifoso della Fiorentina, ma mi farò seppellire con la tuta del Bologna, un fischietto da allenatore e una sciarpa rossa. Sono stato bene in tanti posti, a Modena, alla Sampdoria dove ho allenato il primo Mancini e anche Marcello Lippi. Ma Bologna mi è rimasta dentro. Era un altro calcio, più ricco di umanità e rapporti veri. Ai giornalisti e ai miei giocatori dicevo sempre: se avete un'esigenza potete chiamarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Adesso le conferenze stampa sono rare e di plastica". 

    "A Bologna ho litigato con Roby Baggio? Rispondo con i numeri: più presenze, più gol e il ritorno in Nazionale. È quanto accaduto con me a Roberto. Qualcuno dimentica che, nel 2010, l'ho proposto a Giancarlo Abete per farne presidente del settore tecnico. Certo, quelle polemiche non me le posso dimenticare. A quei tempi ero separato dalla mia prima moglie, Marisa, e il lunedì, quando tornavo a casa, dormivo dalla mamma a San Miniato. La sera di Bologna-Juventus l'ho trovata sulla porta e mi ha sgridato: ma che hai fatto a Baggio?". 

    "Spalletti lo stimo, è il ct giusto per l'Italia. Mi incatenai davanti alla sede della Federcalcio quando avevano preso la folle decisione che tra i Dilettanti chiunque potesse allenare senza patentino. Avevo chiesto aiuto alla Lega di Serie A e ai calciatori, ma nessuno mi ascoltava. Così ho preso le catene e delle coperte e mi sono legato. Il presidente Abete, disperato, ha provato in tutti i modi a farmi tornare indietro". 

    "Mi ricandido a presidente dell'associazione allenatori. Ci ho pensato molto, specialmente quando non sono stato bene. Qualcuno potrebbe obiettare che sono vecchio, ma dentro ho lo spirito di un ragazzino. E poi non ho scelto da solo. Anche i miei compagni di viaggio, i vice presidenti Camolese, Perondi e Vossi, mi hanno spinto, al pari del consigliere federale Beretta. Non abbiamo ancora finito il lavoro, restano delle cose da fare. La più importante: che ogni squadra affiliata alla Figc sia guidata da un tecnico diplomato". 

    "Il presidente federale Gabriele Gravina ha lavorato bene ed è in linea con i nostri propositi. Non c'è motivo di cambiare. Il calcio ha bisogno di stabilità". 
     

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