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    Troppe aspettative fondate su pochi elementi: il flop di Thiago Motta alla Juventus era un rischio da calcolare

    Troppe aspettative fondate su pochi elementi: il flop di Thiago Motta alla Juventus era un rischio da calcolare

    • Renato Maisani
      Renato Maisani
    Adesso si può dire: l'esperienza di Thiago Motta alla Juventus può essere etichettata come flop. L'allenatore chiamato a raccogliere l'eredità lasciata da Massimiliano Allegri non è riuscito nemmeno a portare a termine la stagione, esonerato dopo la doppia figuraccia raccolta in campionato contro Atalanta e Fiorentina.

    Ma le rotonde sconfitte subite dai bianconeri nelle ultime due uscite rappresentano soltanto la punta di un iceberg che ha iniziato a formarsi proprio nella serata forse più esaltante della stagione bianconera e cioè quella vissuta a Lipsia ad inizio ottobre. Quella sera lì, la Juventus aveva vinto in rimonta nonostante l'inferiorità numerica e, inevitabilmente, l'asticella delle aspettative si era alzata troppo. Per di più, in una serata nella quale a fare da contraltare alla vittoria per 3-2 si era registrato il brutto infortunio di Bremer, il punto di forza della retroguardia bianconera.

    Proprio la vittoria di Lipsia, però, ha contribuito ad accrescere le attese sulla Juventus 2024-2025 e sul suo allenatore, quel Thiago Motta probabilmente - col senno di poi - fagocitato proprio dalle troppe aspettative che i tifosi più "stanchi" della gestione Allegri avevano costruito su di lui. E lo stesso Motta, forse, c'è caduto dentro con tutte le scarpe.

    L'avventura di Motta alla Juventus è stata contraddistinta da qualche errore - è innegabile - ma quale allenatore non ne commette? Tuttavia, ciò che forse Thiago Motta ha pagato più di ogni cosa è stata la difficoltà ad adattarsi ad un contesto come quello bianconero. Perché non scopriamo l'acqua calda nel dire che un allenatore, pur reduce da una splendida stagione a Bologna, non può gestire allo stesso modo una squadra che punta in alto. Innanzitutto per un motivo alquanto scontato, ma che forse per molti scontato non lo è più: chi allena una "piccola" o una "outsider" può permettersi un enorme lusso che è quello di perdere. Perdere contro una squadra meglio attrezzata e più blasonata fa parte della normalità in una piazza che ambisce alla salvezza, ad una posizione tranquilla in classifica o persino alla conquista di un posto in Champions, ma da outsider. Se invece la squadra ambisce alle prime posizioni, una sconfitta non è mai "accettabile" a cuor leggero, ma lascia sempre un senso di insoddisfazione e, inevitabilmente, dà il via ai processi da parte dei tifosi con tanto di lente d'ingrandimento puntata sulle scelte dell'allenatore.

    Ma al di là delle scelte tecniche e tattiche dell'allenatore, che sicuramente hanno messo in evidenza l'inesperienza nella gestione di una squadra dalle grandi ambizioni e l'eccessivo integralismo nelle scelte, ciò che salta all'occhio più di ogni cosa è appunto il gap che spesso tifosi e opinionisti dimenticano quando vedono un calciatore o, ancor più, un allenatore, proporre qualcosa di buono. Incidere allo stesso modo in una big, specialmente dalla panchina, è molto più difficile. 

    E così, Thiago Motta, è solo l'ennesimo allenatore a essere "bruciato" proprio da chi si aspetta da lui, sin da subito, ciò che era stato capace di dimostrare in "provincia". Non è il primo Thiago, non sarà l'ultimo, specialmente se le società sportive e i loro dirigenti non porranno il giusto accento su questo punto e continueranno a riporre eccessive aspettative su allenatori che non hanno ancora avuto tempo e modo di dimostrare abbastanza esponendo il fianco al rischio di tonfi fragorosi. Sì, perché non basta un inatteso exploit per essere pronti per vincere o per lottare per obiettivi più grandi o, comunque, tali obiettivi non possono essere perseguiti allo stesso modo, con le stesse strategie e con gli stessi atteggiamenti, ma bisogna adattarsi. Bisogna adattarsi dentro lo spogliatoio - a partire dalla gestione della personalità dei giocatori che ci si ritrova di fronte - bisogna adattarsi davanti ai microfoni, perché le parole dell'allenatore della Juventus, dell'Inter, del Napoli - o di una qualsiasi altra big - hanno e avranno sempre un peso maggiore rispetto alle parole pronunciate dall'allenatore di una squadra meno seguita o meno ambiziosa: è inevitabile e bisogna essere preparati anche su questo. Motta non lo era ancora. Lo sarà più avanti nel corso della sua carriera, sicuramente, ma non lo era ancora. E tenere tutto questo in considerazione quando si affida ad un allenatore emergente la panchina di un club non dovrebbe essere opzionale, anzi.

    Thiago Motta lascia così la Juve dopo appena nove mesi, per nulla aiutato da chi - a fin di bene - aveva individuato in lui la panacea di tutti i mali. Non lo era, adesso appare evidente. E costruirgli attorno troppe aspettative non ha fatto altro che accentuarne il rumore del tonfo.

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