Getty Images
Tre motivi per giocare per la Samp
I TIFOSI - Domenica sera ero in tribuna a Marassi, come mi era accaduto tante volte nei quarantanni di calcio da scrivere per le vie del mondo. Dal giorno dell’autopensionamento per noia non ero più entrato in uno stadio di Serie A. Eppoi, un conto è doverlo fare per lavoro e un altro paio di maniche è per divertimento o per passione. Nell’uno e nell’altro caso vedi cose diverse e privi sensazioni differenti, partita a parte. Ebbene ho ancora nelle orecchie il rumore assordante per che novanta minuti e senza un solo attimo di sosta è sceso dall’intera curva ultras doriana per diffondersi ovunque, scendere addosso ai giocatori, tentare di entrare nelle loro anime. Un mantra vero e proprio carico di amore incondizionato che neppure quando la Juve stava vincendo per due a zero è mai venuto meno. Altro che fischi o contestazioni, come solitamente avviene. Tutti uniti e ben stretti intorno a chi, in quel momento, sta subendo lo strapotere altrui. E alla fine, sconfitti e fradici di pioggia, i giocatori vestiti con quella maglia blucerchiata resa simpatica alla faccia di Capitan Trinchetto, tutti sotto la curva ad applaudire e per ricevere applausi. Ecco, ho pensato, deve essere bellissimo appartenere ad una tribù del dal cuore così grande.
LA SOCIETA’ - Ricordo la Samp del presidente Mantovani come se fosse oggi. Spesso si parla di grande famiglia anche quando non sarebbe il caso di faro e abusando della retorica. Ebbene sfido anche le menti più antiche a dire che quella di Paolo il Grande non è sempre stata una bella e unita famiglia sul serio. Con i fatti, mica a parole. Questo non significa che ciascuno all’interno della società blucerchiata potesse fare e disfare a piacimento. Anzi, proprio il fatto di trovarsi di fronte ad un presidente-imprenditore che sapeva usare la democrazia aziendale in maniera democraticamente olivettiana era garanzia di serenità, tranquillità, onestà intellettuale, solidarietà di gruppo. Nelle sconfitte come nei successi. Per ulteriori informazioni chiedere alla “banda dello scudetto” e non solo a Mancini e a Vialli che sarebbe troppo facile. Ma anche a quelli come Lippi, Morini e Bob Vieri. Oppure a Marocchino e Zanone. Infine, potessero mai parlare, a quel gran signore di Fulvio Bernardini o al povero Frustalupi. Per tutti loro, un’esperienza unica vivere la Samp. Irripetibile. Oggi, naturalmente, le cose sono cambiate come gli uomini. Ma, sotto traccia, le regole etiche sportive sono quelle di allora perché scritte nella pietra come i Comandamenti e trasmesse per sempre alla gente doriana che le rispetta trovando il coraggio di far festa e di cantare anche se hai perso la partita. Dopo i Garrone, anche loro calcisticamente razza speciale, i nuovi custodi del tempio si chiamano Ferrero, Osti, Viganò. Meno carismatici,forse, ma persone perbene. Ed è quel che conta, soprattutto.
LA CITTA’ - Genova… per noi quella faccia un po’ così che facciamo calcio in una città che sembra essere stata fatta apposta per il gioco dl pallone. Case antiche affacciate sul mare e gente discreta per le strade, dalla collina ai carugi, dove senti il profumo della farinata e del basilico pestato nel mortaio per mandarlo a nozze con le trenette ben al dente. Un po’ triste, forse, perché lasciata andare da amministratori distratti o perché abbandonata da armatori fuga come i Costa eppure gonfia di legittimo orgoglio. Bella dentro, anche se un poco scarmigliata, ma tanto vera e onesta come Bocca di Rosa. Genova, un luogo dove persino Messi potrebbe andarsene liberamente in giro senza venir infastidito. Tanto per fare all’amore ci si ritrova al “Ferraris” con addosso la maglia della Samp.