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    Totti, Terry e Lahm: quanto ci mancate! Si parte senza i capitani di sempre

    Totti, Terry e Lahm: quanto ci mancate! Si parte senza i capitani di sempre

    • Alessandro Creta
    Comunque vada a finire, qualsiasi cosa succeda, la stagione che si è appena aperta è già entrata a suo modo nella storia del calcio. Si perché per la prima volta dopo decenni dai terreni di gioco di tutta Europa mancheranno all’appello con le loro maglie 3 grandi giocatori, tre simboli delle rispettive squadre, tre capitani leggendari che hanno da poco svestito la divisa con la quale sono diventati grandi.

    Parliamo di John Terry, Philipp Lahm e Francesco Totti, tre icone del calcio contemporaneo, tre giocatori con i quali molti di noi sono cresciuti ammirandone le gesta, provando nei campi più disparati ad emularne le giocate. Tre esempi di professionismo ma soprattutto attaccamento alla maglia e grande lealtà, così lontani e diversi tra loro ma anche così vicini nell’amore che hanno dimostrato (e ricevuto) dai loro colori e dai loro tifosi.

    Un addio storico di tutti e tre, conciso nei primi due casi anche con la vittoria del campionato, mentre per Totti è stato un addio si senza trofei, ma con una dimostrazione d’affetto da parte dei tifosi che forse mai si rivedrà in una piazza pur calda come quella di Roma.

    TERRY - Non un addio al calcio quello di Terry però, JT ha “solamente” svestito la casacca del Chelsea per vestire quella dell’Aston Villa; squadra che curiosamente ha visto il debutto del difensore nel 1998. In panchina a Stamford Bridge c’era Vialli che lanciò in campo un giovanissimo Terry proprio contro i Villans, squadra per la quale ora l’ex capitano del Chelsea ha firmato un contratto annuale. Sulla schiena sempre il fido numero 26, da quello JT non vuole proprio allontanarsi.

    “Captain, leader, legend”, questo lo striscione che per anni ha campeggiato a Stamford Bridge in onore di Terry, uno che con la maglia dei blues ha vinto, tra le altre cose, 5 campionati, 5 FA Cup ed una Champions League. Indelebile nella memoria di molti il suo scivolone dal dischetto nella finale di Champions a Mosca nel 2008 contro il Manchester United: una caduta al rigore decisivo che di fatto consegnò la coppa a Ferguson e Ronaldo. La vita di un eroe, anzi di una leggenda, è fatta di cadute ma anche di rinascite e rivincite: 4 anni dopo quel rovinoso penalty Terry riuscirà ad alzarla quella coppa (pur non avendo giocato per squalifica) all’Allianz Arena contro il Bayern Monaco. Destino volle che anche quella finale si decise ai rigori e fu Drogba a fare un “favore” al suo capitano: Mosca era cancellata, finalmente JT poteva alzare al cielo la Champions League.  L’unico rimpianto di una carriera straordinaria, forse, non essere riuscito a vincere nulla con l’Inghilterra. Ma d’altronde la nazionale maggiore dei 3 Leoni non si afferma in campo internazionale dal 1966, anno in cui vinse il Mondiale organizzato in casa.

    LAHM - Diverso invece il discorso per Philipp Lahm, ex capitano del Bayern Monaco e della Germania che in carriera ha praticamente vinto tutto quello che c’era da vincere. Campione del Mondo nel 2014, campione d’Europa nel 2013 e 9 campionati tedeschi (record assoluto) fanno di Lahm uno dei giocatori più vincenti di sempre. La decisione del ritiro alla “giovane” età di 33 anni, una scelta tanto precoce quanto ponderata per l’esterno difensivo che negli ultimi anni di carriera al Bayern ha saputo giocare ad alti livelli anche da centrocampista. Un giocatore duttile ma sempre efficace che ha deciso di smettere ad un’età nemmeno troppo matura; difficile del resto aspettarsi altro da un uomo che nella sua carriera ha sempre bruciato le tappe, che a 22 anni giocava da titolare il Mondiale in casa e che di fatto a 30 anni (quando è diventato campione del Mondo poco prima dell’addio alla nazionale.) non aveva più niente da chiedere alla sua straordinaria carriera. Ah, nota a margine: Philpp Lahm ha giocato col Bayern oltre 400 partite ma c’è uno zero nei suoi record; nella casella “cartellini rossi”.  

    TOTTI - Parlando dei grandi capitani che hanno sfilato per sempre la loro fascia dal braccio non possiamo non parlare di Francesco Totti. Ogni parola sembrerebbe superflua e scontata riferendoci all’ex numero 10 della Roma, un giocatore che campanilismi a parte ha fatto la storia della Serie A e della Nazionale; sicuramente tra i 5 più forti all time in Italia. Chi ama il calcio e riesce a rimanere al di sopra di ogni forma di tifo non può non riconoscere la grandezza di un attaccante che ha sicuramente vinto molto meno di quanto avrebbe potuto (o meritato), preferendo ai soldi e ai trofei (quelli che gli avrebbero garantito Real Madrid e Milan, per esempio) l’affetto per la propria città, i propri colori ed i propri tifosi. Secondo bomber di tutti i tempi nel campionato italiano dietro a Silvio Piola (274 reti contro 250), con una prima posizione sfuggita davvero per poco (senza quell’infortunio tra il 2005 ed il 2006 chissà dove sarebbe potuto arrivare). 

    Record quelli di Totti non solo circoscritti al campionato italiano ma che emigrano anche in Europa: scarpa d’oro nel 2006 e giocatore più anziano ad andare a segno in una gara di Champions League. Era il 25 novembre del 2014 e Totti migliorava il suo record già firmato 2 settimane prima contro il Manchester City: contro il Cska il gol arrivò all’età di 38 anni e 59 giorni. Il Mondiale del 2006 poi non stiamo nemmeno a ricordarlo.

    “The core of Roma”, recitava un articolo del New York Times nel dicembre nel 2016 giocando con la lingua inglese ed italiana: “core di Roma” ma anche “nucleo” tradotto in inglese, a simbolo dell’indissolubile binomio tra il leggendario numero 10 e la sua città/squadra.

    Ha salutato tutti il 28 maggio del 2017 Totti, diversamente da Terry e Lahm senza alzare un trofeo ma alzando lo sguardo verso i suoi tifosi, la sua gente e la sua curva che gli ha tributato un addio che fa già parte della storia del calcio. La decisione poi qualche settimana fa di mettere la parola fine alla sua carriera da giocatore: troppo bello chiudere con quelle immagini di quel pomeriggio romano davanti ad un Olimpico che lo eleggeva con ancor più convinzione come ottavo Re di Roma. Forse anche quel tripudio lo ha convinto ad appendere gli scarpini al chiodo e dire basta, lasciando noi tifosi di questo magnifico sport a dire a nostra volta un’altra sola parola: grazie.

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