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Toromania: non esiste il divieto di provarci
Vent'anni dall'ultima volta, è inutile sottolineare ancora il record di mancate vittorie che il Torino non finisce di inanellare nei derby; i 12 senza una rete segnata si sono invece interrotti quattro mesi fa, nel match d'andata all'ex Stadio delle Alpi, grazie alla meraviglia di Bruno Peres che concore seriamente per essere uno dei più bei gol della storia di questa partita. E da lì la squadra di Ventura dovrebbe ripartire: non dalle statistiche, dal peso della storia (che in casa granata è sempre più schiacciante che in qualunque altro angolo d'Italia), dalla delusione senza fine che la cittadinanza torinese; ma dall'ultima volta, quella dello scorso 30 novembre.
Non tanto e non solo per la cavalcata di Peres che ruppe l'incantesimo, ma per l'atteggiamento tenuto globalmente dalla squadra nel corso di tutti e 90 i minuti. Più recupero (e quanto pesò, sul risultato, quel recupero...). Già, perchè a dispetto della promessa “Quest'anno vinceremo un derby” che il Mister declamò alla folla di Mondovì nell'agosto 2013, il suo Toro aveva fino a quel momento affrontato l'incontro più importante con atteggiamento quasi dimesso, a tratti inspiegabile. Certo, la sfortuna l'ha colpito, e a più riprese, sotto forma di sviste arbitrali. Nel 2012/2013, all'andata l'espulsione di Glik su cui alcuni recriminano, e al ritorno il solare rigore negato a Jonathas per ampia trattenuta di Bonucci, che impedì al brasiliano un gol fatto sullo 0-0 a pochi minuti dalla fine; nel 2013/2014, la rete decisiva segnata da Pogba e propiziata da un Tevez in netto fuorigioco all'andata, e al ritorno l'altro penalty – ancora più incredibile – non fischiato a El Kaddouri sgambettato da Pirlo. Ma, in generale, tutti questi incontri avevano visto un Torino che aveva fatto molto poco per non vincere.
Lo stesso Pirlo si è trasformato, nell'ultimo precedente, in giustiziere sadico del Toro. Sì, perchè quella volta i granata avevano finalmente trovato il piglio giusto, avevano reagito all'ennesimo tiro dagli 11 metri (stavolta in pochi ne misero in discussione la validità) con carattere, avevano pressato la Juventus e per lunghi tratti avrebbero legittimato una vittoria. Ma la magia del fuoriclasse, con quel pallone che all'ultimo secondo attraverò una selva di gambe e sfiorò una mezza dozzina di schiene trovando poi l'angolino, perpetrò la stessa, lunga storia. Quel Toro, però, aveva fatto quanto in suo potere, aveva capito che sognare di vincere il derby – magari senza prometterlo – si può: da allora ha preso consapevolezza, ha inanellato risultati positivi in quantità, ha scoperto Maxi Lopez. Sa che è difficile, difficilissimo, ma che non esiste il divieto di provarci cui sembrava misteriosamente attenersi fino alla scorsa stagione.
Non tanto e non solo per la cavalcata di Peres che ruppe l'incantesimo, ma per l'atteggiamento tenuto globalmente dalla squadra nel corso di tutti e 90 i minuti. Più recupero (e quanto pesò, sul risultato, quel recupero...). Già, perchè a dispetto della promessa “Quest'anno vinceremo un derby” che il Mister declamò alla folla di Mondovì nell'agosto 2013, il suo Toro aveva fino a quel momento affrontato l'incontro più importante con atteggiamento quasi dimesso, a tratti inspiegabile. Certo, la sfortuna l'ha colpito, e a più riprese, sotto forma di sviste arbitrali. Nel 2012/2013, all'andata l'espulsione di Glik su cui alcuni recriminano, e al ritorno il solare rigore negato a Jonathas per ampia trattenuta di Bonucci, che impedì al brasiliano un gol fatto sullo 0-0 a pochi minuti dalla fine; nel 2013/2014, la rete decisiva segnata da Pogba e propiziata da un Tevez in netto fuorigioco all'andata, e al ritorno l'altro penalty – ancora più incredibile – non fischiato a El Kaddouri sgambettato da Pirlo. Ma, in generale, tutti questi incontri avevano visto un Torino che aveva fatto molto poco per non vincere.
Lo stesso Pirlo si è trasformato, nell'ultimo precedente, in giustiziere sadico del Toro. Sì, perchè quella volta i granata avevano finalmente trovato il piglio giusto, avevano reagito all'ennesimo tiro dagli 11 metri (stavolta in pochi ne misero in discussione la validità) con carattere, avevano pressato la Juventus e per lunghi tratti avrebbero legittimato una vittoria. Ma la magia del fuoriclasse, con quel pallone che all'ultimo secondo attraverò una selva di gambe e sfiorò una mezza dozzina di schiene trovando poi l'angolino, perpetrò la stessa, lunga storia. Quel Toro, però, aveva fatto quanto in suo potere, aveva capito che sognare di vincere il derby – magari senza prometterlo – si può: da allora ha preso consapevolezza, ha inanellato risultati positivi in quantità, ha scoperto Maxi Lopez. Sa che è difficile, difficilissimo, ma che non esiste il divieto di provarci cui sembrava misteriosamente attenersi fino alla scorsa stagione.