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Romamania: Tiago Pinto mi piace ma basta con i superlativi, aspettiamo la legge del campo
Dico un altro perché ogni volta che penso a un dirigente mi torna in mente Monchi. E qui mi fermo, la storia la sapete.
Dopo aver ignobilmente e acidamente spettegolato sulle esagerazioni di alcuni miei colleghi e di questo modo trionfalistico di raccontare uno che non è manco sbarcato a Roma e non ha neanche tirato fuori una penna dal taschino, vi dico la mia. Premetto: a 'pelle' mi piace molto. Mi sono letto alcune sue dichiarazioni e diverse cose sul modo di lavorare. Lo scorso agosto, aveva raccontato a Sky, parlando del suo lavoro al Benfica: «Abbiamo investito tanto nelle infrastrutture. Bisogna spendere per allenatori e giocatori, ma mai dimenticare le infrastrutture. Il nostro principio è che un giocatore arrivi qui e pensi solo ad allenarsi e a giocare, al resto pensiamo noi: così li proteggiamo. Penso sia uno dei migliori centri di allenamenti del mondo». Ecco, questo modo di vedere le cose mi piace: l'organizzazione del club innanzitutto. La cura nei minimi dettagli della giornata nell'area tecnica. La qualità degli staff. La necessità di potenziare il settore giovanile sullo stile del Benfica. Senza tralasciare il mercato. Obiettivi semplici ma necessari perché troppo spesso ci si dimentica che una squadra vincente non nasce mai sul campo, ma dietro alle scrivanie grazie a dirigenti capaci e in sintonia. L'idea è che Tiago Pinto agirà in profondità seppellendo definitivamente le ambiguità dell'era Pallotta. Nessun ruolo barocco e una sola stella polare: mettere la squadra nelle migliori condizioni di poter lavorare. Poi, certo, vale per lui come per chiunque altro: nel calcio contano i fatti, unica versa Cassazione. E allora, qualche superlativo in meno non guasterebbe in attesa di vedere la nuova Roma di Tiago Pinto.
Paolo Franci