Tamburi di rivoluzione, il calcio cambia
Rendere “fruibile” uno stadio significa creare le premesse perché chi ci va si diverta, stia bene, si senta parte di una comunità. Banalmente: tamburi e megafoni sono strumenti. Se io suono, faccio festa. E’ da qui che bisogna (ri)partire. Mentre nel resto di Europa in questi anni si ragionava su come abbattere le barriere e si lavorava per costruire stadi comodi, accessibili e sicuri, da noi - salvo qualche rara eccezione di club impegnati a pensare e creare impianti moderni - l’introduzione di norme assurde (la tessera del tifoso in primis: per fortuna è stata abolita…) contribuiva a desertificare gli stadi, spegnere la passione, allontanare il tifoso. Ora: inversione di marcia. Forse stiamo uscendo dalla rotonda delle norme assurde in cui giravamo da anni. Bene. Anche se scopriamo che il nuovo che avanza in realtà è il vecchio che torna di moda. Li ricordate, no, gli stadi degli anni ’70 e ’80? Tamburi, striscioni, megafoni.
Occhio, però: il passato non è sempre e solo un santino da venerare e rimpiangere. Quelli, non bisogna mai dimenticarlo, sono stati ANCHE anni di morti, violenza, vere e proprie battaglie tra tifoserie, guerriglia urbana dentro e fuori, negli stadi e nelle città. Non certo, però, per colpa di tamburi e megafoni. Riuscire a prendere il meglio di quel periodo - cioè l’ATMOSFERA che si respirava dentro lo stadio - depurandolo dalla violenza becera e brutale; è un buon modo per cominciare a vivere il calcio con più serenità, con più passione, con più partecipazione.