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Talenti di ferro: Capi, il suo volto è nell'ombra, ma la sua classe splende già
Il primo si chiama Capi.
L’amore per uno sport nasce di norma durante la propria infanzia. I primi calci ad un pallone, le prime giocate di alta classe, l’affascinante mondo dei tornei dilettantistici e giovanili. E proprio lì, in quel limbo quasi tra finzione e realtà, che è esplosa la vena creativa ed artistica (sportivamente parlando, s’intende…) di Capi. Ragazzo scaltro, intelligente ma anche attento a tutto quello che succede attorno a lui. La sua è la classica favola che si realizza: di famiglia povera, suo padre fornaio avrebbe voluto che proseguisse la sua professione, ma Capi invece di alzarsi alle due della notte per infornare il pane preferiva giocare a calcio. Una caparbietà che l’ha aiutato soprattutto quando, al nascere della sua carriera professionistica, un infortunio ne aveva minato seriamente la carriera: il provino andato a gonfie vele, il primo contratto firmato e il ginocchio che fa crack una sola settimana dopo. Sfortuna…
Ma di Capi tutti sanno che la determinazione è la dote maggiore; e difatti, dopo un’assenza dai campi di gioco di quasi un anno, il ritorno in grande stile, le prime copertine dei giornali (anche quelli patinati, dove, con la sua proverbiale disponibilità e pazienza, non si è mai tirato indietro dal prestare o rivolgere il suo affascinante sguardo alle numerosissime fan) e la convocazione in nazionale: “é un grande talento, molto tecnico ed altruista in campo”. Queste furono le prime parole del suo allenatore quando venne chiamato a giocare in prima squadra. La sua innata capacità di leadership, poi, l’ha portato ben presto a diventarne addirittura il capitano: e ora si sogna in grande, addirittura la vittoria del campionato del Mondo. Una garanzia di successo per un inguaribile ottimista che vede sempre il bicchiere mezzo pieno.