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Talenti di ferro: Beto che arriva dalle favelas, cuore di bomber
Il secondo si chiama Beto
Chi lo conosce bene si ricorda di lui già in tenera età, quando tirava calci ad un pallone di pezza in giro per le favelas di un paese tanto grande quanto povero, il Brasile. Un talento innato, che ben presto però si fece notare da chi veramente contava nel calcio: durante un incontro tra squadre giovanili locali, infatti, il nostro dotatissimo capocannoniere venne visionato addirittura da un osservatore che decise di portarlo con sé alle giovanili della Juventus. Così è nata la storia di Beto, di professione goleador. Una favola, un percorso che doveva per forza di cose andare così o semplicemente il destino: nessuno può dire con certezza cosa sia successo, dal momento che attorno allo sbarco nel calcio professionistico di Beto si sa ben poco.
Vanitoso come pochi, egocentrico, le cronache parlano di lui come di un ragazzo al quale piaceva molto “socializzare” con le femminucce della sua scuola, per poi farsi notare con giocate di alta, altissima classe, durante le partite di calcio. E dedicare gol e baci alle giovani sostenitrici. Ben presto attorno a lui si creò un gruppo di scatenate Cheerleader, ma qui nacquero i primi problemi: ognuna di loro indossava una maglietta con sopra stampata una lettera del nome di Beto, peccato che di norma si presentavano sempre una decina di giovani donzelle a sostenere il nostro goleador che, però, ha solo quattro lettere all’interno del suo nome di battesimo. Nonostante il l’ ego smisurato, però, i suoi allenatori riconoscono in lui la grande dote del coraggio. Si sente una star, non perde occasione per fare lo sbruffone e mettersi in mostra. Ma quando serve si mette a disposizione della squadra. E’ anche per questo che risulta essere uno dei più simpatici calciatori di tutto il campionato: oltre al talento, innato, dietro c’è un grande cuore. Cuore di bomber.