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    Stramaccioni: 'La Juve mi sta antipatica'

    Stramaccioni: 'La Juve mi sta antipatica'

    "Sì, Paulinho è uno da Inter. Balotelli? Mah...".
    Stramaccioni: "Bella rivalità con la Juve, mi è antipatica da... interista".
    "Moratti mi ha sorpreso per la sua competenza. Il campionato riserve? Sarebbe fantastico".
     

    Andrea Stramaccioni, benvenuto a Tuttosport. Cominciamo subito in maniera soft... Come vive la rivalità con la Juventus?
    «Io ne faccio un discorso poetico. Innanzitutto stiamo parlando di sport: il calcio in Italia ha una connotazione individuale-sociale. La rivalità è bellissima, se è positiva. È sfotto, presa in giro. Il lunedì ti diverti con l'avversario di tifo. Che esistano due squadre, due società, due tifoserie rivali, è bellissimo e fa parte del gioco. C'è nel basket Nba, c'è in tutte le città d'Italia. Ovviamente Inter e Juventus, assieme al Milan, hanno vinto di più. Questa è la parte bella e sana. Io rappresento l'Inter, sono rivale della Juventus. Oggi tecnicamente la Juventus ha dimostrato che noi dobbiamo colmare una differenza enorme, però non sarà una partita come le altre. Io lo sento, sono portatore di una tifoseria e con tutte le forze cercherò di batterla. Dentro questi binari la rivalità mi piace, fuori no. Non mi è simpatica la Juve perché alleno l'Inter».


    Moratti crede nello scudetto. E lei?
    «Ci sono due discorsi da fare. Uno di blasone e uno tecnico. Una società come l'Inter deve puntare al massimo, se ti chiami Inter devi arrivare in fondo in tutte le competizioni. Per me, invece, che sono un allenatore chiamato a guidare un nuovo ciclo, non è intelligente parlare ora di obiettivi come lo scudetto, la coppa o la controcoppa. Dobbiamo migliorare di gara in gara. Poi guarderemo la classifica in primavera e vedremo a che punto siamo».

    La Juventus è un modello?
    «De ché?».

    Beh, si stanno portando avanti su vari fronti...
    «L'unica cosa su cui si può prendere spunto è lo stadio. In questa cosa sono stati precursori, lo Juventus Stadium è stato un passaggio importante. Ora abbiamo un progetto noi, lo hanno altri club, il calcio va verso questa strada. Per il resto non mi viene in mente niente in cui la Juventus sia arrivata prima».

    E di Conte cosa pensa?
    «I risultati parlano per lui. Ha avuto l'intelligenza di cambiare, aveva in mente una squadra, ha modificato in base ai feedback che gli arrivavano dal campo. Era partito con il 4-2-4, dal campo arrivavano altre risposte che non lo soddisfacevano, è passato al 4-3-3 ed è arrivato al 3-5-2 attraverso un percorso. Mazzarri ci ha sempre giocato, Conte ci è arrivato».

    Un passaggio che ricorda quello della sua Inter?
    «È vero, però onestamente, lo abbiamo fatto in tempi più brevi perché ci siamo arrivati già a settembre. E a dirla tutta, già dalla partita con la Roma avevo in mente di giocare a tre. Perso Maicon, avevo capito che questo organico sarebbe stato più a suo agio con i tre dietro. Soprattutto per i difensori centrali e per i terzini, ma anche per l'assenza di esterni alti e la tipologia dei centrocampisti».

    Perché la sua difesa a tre ha convinto Moratti e quella di Gasperini no?
    «Sono sicuro che il presidente non ha preclusioni sulla difesa a 3. Io, prima di farla, gliel'ho chiesto, Moratti ha avuto altre difese a tre: Simoni, Zaccheroni. Non è poi che ci siano tanti sistemi: a 4 o a 3, che è uguale a 5. Io non so cosa abbia portato al non funzionamento con Gasperini che per me è uno dei più preparati. Lo conosco bene, ho lavorato con lui a Crotone. Chi lo ha preso, sapeva cosa faceva Gasperini. Sono convinto che se avesse avuto più possibilità, avrebbe messo in campo qualcosa di buono. Poi l'Inter ha fatto le sue valutazioni e il presidente ha fatto bene perché la squadra è sua».

    La disponibilità dei giocatori quanto conta?
    «Conta tutto. Io posso avere tutte le idee del mondo, essere uno scienziato, ma le interpreta il giocatore. Se tu riesci a cucire dieci abiti su misura, avrai più possibilità che le tue idee vengano applicate. Io, ripeto, posso essere il più grande psicologo del mondo, ma se non so comunicarlo, è inutile».

    Stramaccioni, cosa si aspetta dal mercato di gennaio?
    «E' normale che, trattandosi di un progetto nuovo, sia genetico dover migliorare nei vari reparti. In estate non abbiamo preso nessun giocatore che non volevamo, questo voglio dirlo chiaramente. Ma è evidente che l'organico possa essere perfezionato. Tranne Juventus e Napoli, tutte possono perfezionarsi, però le basi per il progetto sono state gettate. Abbiamo in testa degli obiettivi».

    Sta gestendo Cassano: sarebbe pronto a gestire pure Balotelli?
    «E' una fantadomanda. Io ho un debole e ce l'ha anche il presidente per i giocatori di grandissima qualità. Antonio l'avevo conosciuto prima che arrivasse all'Inter. E questo è stato fondamentale, decisivo per il suo arrivo all'Inter. Mario, a parte una stretta di mano il giorno della mia presentazione ad Appiano Gentile, io non posso dire di conoscerlo. Quindi sarebbe un'operazione differente».

    Giuseppe Rossi sarebbe una scommessa o un azzardo?
    «Lo conosco da quando il suo gruppo degli '87 con il Parma vinse lo scudetto. Lui era l'attaccante, in coppia con Lupoli. E' un talento incredibile. Gli auguro di stare bene, di tornare e non avrà problemi a trovare una grande squadra».

    Ma almeno ci conferma che arriverà Paulinho?
    «Rappresenta uno dei centrocampisti brasiliani più interessanti, in ascesa. E' un centrocampista centrale che può giocare sia in una mediana a due, sia da interno in una linea a tre. Ha le capacità di fare gol, ha tempi di inserimento particolarmente pericolosi e abbina qualità nel recupero palloni. L'abbiamo seguito noi e altri club, ma ora è del Corinthians ed è giusto che sia concentrato sul mondiale per club».

    Parliamo allora del mercato passato: come siete arrivati a Cassano?
    «Avevo in testa una squadra con obiettivi che per un motivo o per un altro sono sfumati. Non per colpa dell'Inter, ma perché lo sceicco quest'anno ha deciso di fare lo sceicco proprio quando sono arrivato io... E così ha preso sia Lucas sia Lavezzi: erano due giocatori che seguivamo, funzionali all'idea di gioco che avevamo in mente. Sfumati loro, ci siamo orientati su una seconda punta. E Antonio è un prospetto tecnico di primissimo livello. Poi quando ci siamo confrontati con Moratti, Branca e Ausilio, abbiamo verificato che non solo era possibile, ma che il Milan era anche interessato a Pazzini. Così è diventato tutto più facile».

    Ma gestirlo è difficile?
    «La maggior parte delle cose che dice sono battute, compresa quella sugli juventini-soldatini. Ma anche sul golf: oggi all'allenamento gli ho detto ma tu sai che vengono i golfisti ad Appiano? Fra tutte le categoria di sportivi che potevi colpire da Fazio, proprio con loro dovevi prendertela...».

    Stramaccioni, come ha riportato tranquillità nello spogliatoio?
    «Non c'è un metodo, esiste la quotidianità. Bisogna avere idee chiare e un rapporto schietto in un quadro di umiltà. Questo è stato apprezzato dai giocatori, non dico condiviso ma apprezzato. Questo è il mio modo di essere».

    Ma il suo primo giorno ad Appiano come è stato?
    «Sono una persona equilibrata, mi reputo un freddo. Ma il vero momento drammatico che ho vissuto in questi mesi non sono state le sconfitte con Roma e Siena, ma il primo ingresso nello spogliatoio dell'Inter. Pensavo: è difficile rapportarsi con giocatori così e le loro facce valevano più di mille commenti, una volta dentro. Sembrava dicessero: E mo questo chi c.azzo è? Da dove l'hanno tirato fuori? Ha un nome impronunciabile, zero passato, e con lui dove andiamo?.... Mi sono fatto un training autogeno e mi dicevo: sono tutte casacchine uguali... Però, cavolo, spiegatemi come fai a dire a Milito come si deve muovere in campo...».

    Quando tornerà Sneijder, chi starà fuori? E come giocherà l'Inter?
    «Innanzitutto non lo vedo come un problema, mi viene da sorridere. Per esempio, ci fosse stato contro la Fiorentina, avrebbe giocato dove ho messo Coutinho. Quando tornerà potrà giocare in diversi ruoli, la sua collocazione ideale è trequartista nel 4-2-3-1 ma può farlo nel rombo oppure giocare, come in nazionale, terzo di sinistra a centrocampo».

    L'Europa League è una palla al piede?
    «No, è uno stimolo, ci tengo. In questo momento sto cercando di capitalizzare i giocatori che ho a disposizione. Se poi andremo avanti, vedremo... Certo, se arriveremo a giocare il giovedì contro il Manchester e la domenica contro il Milan per lo scudetto, allora dovrò fare delle scelte. Ma per adesso è un discorso prematuro».

    Ha preso lezioni su come esultare dopo le partite?
    «In quell'esultanza dopo il derby non c'era mancanza di rispetto per nessuno. Le parole di Preziosi? Io ci ho letto un complimento: non doveva esultare così, però sta facendo bene. Comunque ho festeggiato in quel modo perché c'erano tanti significati: come eravamo arrivati al derby, il fatto di giocarlo in casa loro, tutta la ripresa in dieci. E poi, visto che i tifosi ci sono sempre stati vicini, volevo dir loro che avevamo vinto assieme».

    Quanto tempo si è preso per arrivare a vincere?
    «Il nostro obiettivo è fare risultati. Ma la nostra difficoltà è crescere all'interno dei risultati. Io so che a Torino o a Verona non siamo stati spettacolari, ma abbiamo vinto seguendo un certo tipo di gioco. Mio nonno diceva: prima impari l'alfabeto, poi le parole, gli aggettivi, i verbi e infine fai le frasi. Ma se vuoi fare subito le frasi, fai fatica... Quindi bisogna seguire due binari: uno che dà sicurezza, l'altro dove si prova qualcosa di nuovo. Bisogna andare avanti parallelamente, perché se si segue solo il binario della sperimentazione, prendi una sventrata che non finisce mai».

    Tuttosport ieri ha lanciato l'idea di un campionato riserve per far crescere i talenti in maniera più proficua: cosa ne pensa?
    «Io lo sostengo da tempo. Con me sfondate una porta aperta: sarebbe una cosa fantastica per il calcio italiano. Mi rendo conto che bisognerebbe stabilire bene il criteri di quali saranno i requisiti per fare un campionato riserve. Ci sono società che hanno grandi tradizioni nel settore giovanile e che magari si oppongono se non ne possono fare parte. Ma l'idea è interessante e per me va perseguita».

    Perché è così difficile arrivare in prima squadra per un giovane?
    «Vista la mia esperienza, dico che non è facile passare dalla Primavera alla prima squadra. E ancor di più giocare nell'Inter: non solo a livello di qualità tecniche. Per esempio Mbaye, è fortissimo, è un '94, molto interessante, però con l'Hajduk davanti a 50mila spettatori gli tremavano le gambe. Tra la serie A e la Primavera c'è il Grand Canyon. Mi è stato chiesto perché avevo tenuto Livaja e non Longo. Ma le scelte non sono mai casuali: Marko, per esempio, fa bene in 15-20 minuti, ha un carattere diverso. Longo ha bisogno di più minutaggio per dimostrare le sue qualità e quindi era più logico darlo ad una squadra dove potesse giocare con continuità. Livaja in pochi minuti incide. Non solo, Longo con le nuove regole non può giocare in Primavera, Livaja sì».

    C'è qualche talento che ha visto o allenato che si è perso per strada?
    «Nella mia esperienza, tutti quelli contro di me, sono arrivati. Da Totti a Inzaghi, da Nesta a Di Vaio. Poi c'è chi magari prometteva anche di più: penso a Ventola, che ha avuto sfortuna, ma è comunque arrivato all'Inter. Se si guardano le nazionali giovanili, è difficile che qualcuno che fa la differenza nell'Under 16, non arrivi ai massimi livelli».

    Quanto dà fastidio la Nazionale? E' vero che i giocatori arrivano con un programma personalizzato da svolgere e da dare al ct?
    «Questo, forse, lo fa la Juventus. A me succede il contrario: ad esempio quando Guarin, mi torna dalla Colombia, io so esattamente che tipo di lavoro ha svolto. Ma non sono certo io a dire al ct colombiano che cosa deve fare. Quanto ai programmi, è una questione di interessi. Sono stato a Coverciano, ho parlato con Prandelli. Lui non riesce ad allenare la squadra, tranne nelle competizioni in cui hai la squadra per un mese».

    Massimo Moratti cos'è per lei?
    «Per me è una persona intelligentissima ed è anche un grande conoscitore di calcio, inteso come terzino, diagonale, eccetera. Con lui posso parlare pure di tattica in senso stretto. Ha una grande preparazione e con lui riesco a parlare benissimo. In altri contesti, magari il presidente è un grandissimo tifoso, ma di calcio ci parli fino a un certo punto. Poi lui ha le sue idee, a volte crede in un giocatore più di quanto non ci creda io e viceversa. Però per me la sua competenza è stata una sorpresa. Immaginavo presidenti più distaccati, invece. Con le partite, con le sconfitte, il nostro rapporto è cresciuto».

    Come è successo che Stramaccioni da allenatore della Primavera sia passato ad allenare la prima squadra?
    «Il presidente era stato incuriosito dalla Primavera. Anche perché da un po' si parlava di me: basti pensare che l'anno prima, nella trattativa per Burdisso alla Roma, l'Inter chiese otto milioni più Stramaccioni, una cosa che mi sembrava da fantacalcio. Poi l'anno dopo sono davvero arrivato. E Moratti, oltre a essere incuriosito dai sette gol presi a Londra contro il Tottenham, da novembre in poi ha iniziato a chiamarmi. La prima volta dopo la partita con lo Sporting Lisbona: subito ho pensato ad uno scherzo. Invece era davvero lui. Nelle ultime partite mi si è messo dietro alla panchina. Il mio secondo mi ha detto è dietro la panchina, non la vuole vedere la partita, ma sentire quello che dici tu. E poi quando Moratti aveva quasi deciso di promuovermi in prima squadra, il lunedì dopo la vittoria alla Next Generation, mi chiama Ausilio, con il quale ho un grandissimo rapporto. Anzi, di più: se sono all'Inter è merito suo. Ma quella mattina mi disse: guarda che se il presidente fa questa cazzata, mi raccomando digli di no. Lui, che mi vuole bene, pensava che in quello spogliatoio non avrei retto una settimana, che mi avrebbero... ammazzato. Gli ho detto se Massimo Moratti mi dice di prendere la prima squadra, ma come faccio a dirgli di no? Se non mi sento pronto non glielo dico, come faccio? Posso solo dirgli che ce la metterò tutta. Poi è chiaro che se al colloquio avessi capito che Moratti stava pensando moh ndo vado con questo?, allora mi sarei tirato indietro. Ma non è andata così...».

    Stramaccioni, Montella, Conte, Corini, Pioli: è in atto un cambio generazionale sulle panchine della serie A?
    «C'è una grossa differenza. Loro, enunciando i cognomi, chi più chi meno, hanno scritto pagine importanti del calcio italiano. Tutti ex giocatori, a parte forse Pioli, che hanno iniziato ad allenare dove hanno finito di giocare o dove avevano contribuito ai successi. Anche Montella, che è un fratello, lui avrebbe allenato la Roma anche se non avesse allenato i Giovanissimi. Conosceva lo spogliatoio, conosceva le dinamiche che ci sono al suo interno. Poi ha fatto bene con la Roma, si è guadagnato il Catania, ha fatto benissimo e si è guadagnato la Fiorentina. Per me è diverso. Io sono un'eccezione e sono un vero prodotto del settore giovanile. Quando mi dicono non hai giocato, è perché mi mancano le dinamiche a certi livelli, le interazione con i presidenti, i dirigenti, i giornalisti, i giocatori».

    Il paragone con Mourinho è fattibile?
    «E' ridicolo paragonare due allenatori in generale, a maggior ragione me e Mourinho: io ho fatto una manciata di partite in A, lui ha vinto in tre, quattro campionati diversi. Certe dichiarazioni di Sneijder o del mio presidente mi riempiono d'orgoglio ma il paragone tra allenatori fa ridere perché, ripeto, lui ha vinto tutto e ovunque».


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