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Strama come Mou? Ma per favore
Stramaccioni come Mourinho? Ma per favore. Il nuovo, bizzarro gioco della critica italiana: i paragoni tra il nuovo allenatore dell'Inter e lo Special One.
A nessun giornalista verrebbe in mente di chiedere a Matteo Renzi, sfidante di Pierluigi Bersani per la guida del centrosinistra alle prossime elezioni, se si sente il nuovo Franklin Delano Roosevelt. Eppure, chissà perché, domenica sera (dopo il derby vinto contro il Milan) non c'era uno che non chiedesse al povero Andrea Stramaccioni se si sentiva il nuovo José Mourinho.
Per buona educazione, l'allenatore dell'Inter ha risposto alle domande, ovviamente nell'unico modo sensato possibile («Non sono nessuno rispetto a Mou»), ma ormai la valanga era partita. E così il gioco del paragone è proseguito sulle pagine di praticamente tutti i giornali. Per fortuna, chi se n'è occupato ha avuto abbastanza saggezza da sottolineare che le (molto) eventuali somiglianze si limitano al rapporto forte coi giocatori, alla consapevolezza dei propri mezzi, all'esultanza sotto la curva e alla maniacalità nella preparazione delle partite: ma è difficile pensare che aspetti come questi siano patrimonio esclusivo di Mourinho e non invece di qualsiasi allenatore di alto livello (sì, compresa l'esultanza sotto la curva).
Al momento, perciò, l'unico dato oggettivo che accomuna Stramaccioni a Mourinho è l'aver vinto un derby in inferiorità numerica (domenica sera il tecnico romano, il 24 gennaio 2010 il portoghese - e con tutt'altro atteggiamento in campo della squadra). Perché forse è bene tenere presente qualche numero, quando nello sport si fanno i paragoni. Per esempio: quando arriva all'Inter, nel giugno 2008, Mourinho ha già vinto, tra Portogallo e Inghilterra, 13 titoli, compresa la Champions League del 2004 con Porto pieno di giocatori di cui nessuno ricorda il nome. Ha 45 anni, per tutto il mondo è già lo Special One, nonostante un passato da calciatore veramente scarso. Quando ne aveva 36, l'età di Stramaccioni, era al primo dei suoi 4 anni come viceallenatore del Barcellona, prima con Robson e poi con Van Gaal. Da lì, nel 2000 verrà chiamato al Benfica, dove resterà solo 9 partite per il cambio della presidenza per poi passare all'União Leiria, squadra condotta dalla zona retrocessione a un quinto e un terzo posto in una stagione e mezza.
Questo per dire che, a differenza di Stramaccioni (e soprattutto di quanto credono quasi tutti) Mourinho di gavetta ne ha fatta. E tanta. Il che non è né una colpa né un merito e lo stesso vale per Stramaccioni, calciatore molto promettente fermato da un infortunio e poi catapultato dalla Primavera dell'Inter su una delle panchine più difficili del mondo, per di più in un momento di doppia transizione: generazionale ed economica. Cosa che non capitò a Mourinho, erede dell'Inter dominatrice in Italia ma balbettante in Europa e portata al leggendario triplete anche grazie al fatto che la sua presenza in panchina fu parecchio determinante per l'arrivo di fuoriclasse come Sneijder ed Eto'o. Al momento (e il bello è che lui lo sa benissimo), Stramaccioni non è molto più di un tecnico sconosciuto al di fuori dei nostri confini e che sembra piuttosto bravo: 2 delle sue 13 vittorie in serie A (su un totale di 22 partite) sono i due derby giocati. Il primo, la stagione scorsa, in rimonta contro un Milan molto più forte. Il secondo quello di domenica.
Di sicuro non è un caso. Ma ogni confronto con Mourinho sarà autorizzabile solo quando, in un derby, l'Inter segnerà un gol come quello di Thiago Motta nel 4-0 (29 agosto 2009) o come il primo di Cristiano Ronaldo nel Barcellona-Real Madrid giocato quasi nelle stesse ore dell'ultimo derby di San Siro. Una quasi contemporaneità che, da sola, sarebbe dovuta bastare (e avanzare) per scoraggiare qualsiasi paragone.