Stadi: croce e delizia del sistema calcio italiano. A Roma, dopo 10 anni, non è ancora aperto il primo cantiere
Attualmente, nel nostro Paese, vi sono pochissimi stadi hi-tech di ultima generazione, a fronte però di 3 leghe professionistiche e di ben 100 club (solo la Lega Pro ne conta 60). Negli ultimi 5 anni gli addetti ai lavori hanno contato più plastici (presentati in pompa magna in conferenza stampa) che stadi realizzati per davvero. Complice da un lato la burocrazia e una legge-stadi nata per aiutare chi era interessato a patrimonializzare questa tipologia di asset (nella realtà però la stessa legge ha complicato le procedure più che accelerarle), dall’altra la scarsa volontà, da parte dei presidenti delle società di calcio, di investire direttamente nella costruzione di queste cosiddette nuove smart arenas. In queste condizioni non si è sviluppato il settore in esame, anzi il calcio italiano sta perdendo di competitività non solo a livello tecnico-sportivo, ma anche e soprattutto in ambito infrastrutturale.
La storia infinita dello stadio della Roma - Il 30 dicembre del 2012 (quasi 11 anni fa) l’allora presidente della Roma, James Pallotta, annunciava da Orlando, negli States, che il nuovo stadio sarebbe stato inaugurato entro un quadriennio. Il sindaco della Capitale del periodo in esame era Gianni Alemanno (alla guida di una coalizione di centro-destra). Naturalmente quella promessa non è stata mantenuta, ma anche i successori di Alemanno, ovvero Ignazio Marino e Virginia Raggi, hanno scommesso, a fasi alterne, sulla nuova opera giallorossa. Marino, sicuramente più della Raggi (il dirigente del PD rimase immortalato su un balcone del Campidoglio al termine della visita dello stesso Pallotta). La sindaca, votata dagli elettori del M5S, infatti, prima si oppose al progetto deliberato dal suo predecessore, poi impose una rivisitazione radicale del progetto (rovinandolo definitivamente ad essere sinceri). Come spesso avviene il presidente della Roma rimase impantanato nella burocrazia capitolina, non capendo perché la delibera, approvata dal sindaco Marino, fosse stata poi bocciata e rivisitata, in chiave pentastellata, dalla stessa Raggi. Magie e impostazioni politiche (come l’autogol dei Giochi olimpici del 2024) che si vedono solo a Roma. Alla fine Pallotta, dopo aver gettato oltre 60 milioni di euro in progettazione, alzò la mano e cedette la Roma e il progetto monco di Tor di Valle al nuovo e attuale presidente: Dan Friedkin. L’imprenditore americano il 5 agosto del 2020 (più di 3 anni fa) ha acquistato tutto il gruppo giallorosso per 591 milioni di euro, comunicando immediatamente di volersi muovere su una nuova direttrice per la costruzione dell’impianto: nello specifico Pietralata (nel quadrante est della metropoli e a meno di un chilometro dalla stazione Tiburtina).
Tutto da rifare, a partire dall’iter istruttorio in Campidoglio, anche se la nuova dirigenza ha trasmesso all’esterno sempre fiducia, promettendo di inaugurarlo entro il 2027, ma nella realtà non si sta procedendo così velocemente come leggiamo nelle dichiarazioni ufficiali. Se è vero che consiglio comunale e giunta hanno confermato l’interesse pubblico dell’opera è partito il solito “film dell’orrore” delle associazioni di cittadini che non vedono positivamente la creazione di un impianto di calcio in un distretto dove il traffico è, da tempo, un problema irrisolto (il nuovo stadio ospiterebbe ogni volta ben 55mila tifosi, con conseguente inquinamento ambientale, acustico e termico), figuriamoci in occasione dei match ufficiali di una squadra importante come la Roma.
Senza poi dimenticare i movimenti ambientalisti. Il piano regolatore, proprio in quella zona, prevederebbe un parco di 14 ettari. Al contrario queste associazioni, temono, proprio a causa del nuovo impianto giallorosso, che arrivi una colata record di cemento (153.600 metri cubi per una altezza della struttura stimata in 52 metri). Al netto di tutte queste difficoltà, la società giallorossa ha dichiarato di voler presentare il progetto definitivo tra la fine del 2023 e il 2024, ma l’idea di aprire (eventualmente) nel 2027 sembra, ancora un volta, un pò troppo ottimistica. Anche perché i costi di realizzazione della nuova struttura stanno lievitando fortemente. Dagli iniziali 528 milioni di euro (con la formula del project financing) si è già arrivati a 570 milioni. Lato comune di Roma c’è poi la nuova grana dello sponsor della Roma: i sauditi di Riyad Season (25 milioni di euro in due anni per apparire sul fronte maglia della squadra) con un blitz si sono comprati l’abbinamento con l’immagine del club. Fin qui nulla di male. Peccato però che Roma (con il sindaco di centro-sinsitra Roberto Gualtieri in prima fila) spinga giustamente per ospitare l’Expo20230 e l’avversario diretto sia proprio l’Arabia Saudita (con la metropoli di Riyad). In caso di eventuale sconfitta c’è da immaginare che i rapporti tra Roma Capitale e l’AS Roma peggioreranno in tempi molto stretti. In sintesi dopo 4 sindaci, 2 presidenti e circa 11 anni di tempo non si vede ancora luce e la data-orizzonte del 2027 inizia a diventare la solita promessa lanciata nell’eteresenza troppo crederci.