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    Speziamania: Nzola, lo chiamavano Trinità

    Speziamania: Nzola, lo chiamavano Trinità

    • Gianni Salis
    “E sbrigatiiii.... !” -  “Non ci hai capito niente, eh? Te lo rifaccio se vuoi…”. Bartłomiej Drągowski e Mbala Nzola sono sembrati rispettivamente proprio Bud Spencer (con la barba proprio come il portiere aquilotto) e Terence Hill nella mitica scena del bar in  ‘Lo chiamavano Trinità”, quando, sul lancio in profondità del primo ed assist del secondo hanno ‘malmenato’ la retroguardia nerazzurra, mettendosela nel taschino, per il vantaggio siglato da Maldini. Questo dopo che il portierone polacco aveva già neutralizzato ed ipnotizzato da par suo Lautaro Martinez, neo campione del mondo, un ‘Toro’ uscito scornato dal confronto, mentre Mbala aveva praticamente da solo tenuto testa e messo più volte in apprensione Acerbi e soci. Che, per inciso, per gli interi 90 minuti hanno dovuto ricorrere anche alle maniere forti, mai sanzionate, tra l’altro, dal direttore di gara, per frenare l’esuberanza fisico-atletica del franco-angolano. Non ci meraviglieremmo che alla fine del match il possente centravanti dello Spezia gliel’abbia regalata la maglia ad Acerbi, e forse un’altra anche a Bastoni, stante che era sempre agganciata alle loro mani.
     
     
     
     
    Nzola, appunto, contro l’Inter, a coronamento di una stagione finora stellare e che fa da contraltare allo stesso Mbala che proprio contro i nerazzurri al Picco toccò il vertice basso della sua parabola discendente nella stagione passata con Motta in panchina: vi ricordate il caso dell’orecchino? Tanto che l’aquilotto non mise più piede in campo. Oggi invece si deve parlare sicuramente di un nuovo Mbala, e ce ne eravamo accorti tutti quanti quando si presentò già tirato a lucido nel ritiro estivo. Ad oggi contiamo ben 12 reti messe a referto (la metà esatta di tutta la squadra) nelle 22 presenze, che, se poi rapportate al valore intrinseco dello Spezia, è chiaro che hanno un peso specifico di ben altro valore e spessore rispetto a chi gioca in top-team. Il suo nome è stato rispolverato nei taccuini di mezza Europa ed è chiaro che avendo il contratto in scadenza nel 2024, per non perderlo a zero, questa sarà con ogni probabilità l’ultima stagione in maglia bianca del franco-angolano. A meno che la proprietà, a salvezza acquisita, cambi radicalmente visione di approcciarsi al mondo del calcio italiano.
     
     
     
     
    Alla fine c’è il Picco. Che ruggisce ancora come ai tempi che furono. Quelli dei campi spelacchiati se non polverosi. Quelli di una squadra che vinceva i campionati senza un briciolo di società alle spalle. Il Picco che sa ancora fare la differenza a dispetto di tutto e di tutti. Che diventa tale quando pensa ad incitare esclusivamente i colori bianchi (gli possiamo concedere ancora qualche sberleffo agli avversari di sempre, ma nulla più, sia chiaro). Ecco, ripartire dal tifo di venerdì sera per estenderlo alle restanti 12 gare che sono ancora da vivere: tutte d’un fiato.
     

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