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    Spalletti, nell'Italia non ci sono talpe: l'aneddoto sulla "lite" in conferenza

    Spalletti, nell'Italia non ci sono talpe: l'aneddoto sulla "lite" in conferenza

    • Simone Eterno
      Simone Eterno
    Questa volta occorre ripartire dalla fine e riavvolgere tutto il nastro. Perché c'è l'aneddoto. Uno di quelli che solo quando si va effettivamente agli eventi si possono raccontare. Luciano Spalletti aveva chiuso un po' nervoso già con i colleghi di Sky, quando a caldo nel post partita qualcuno era andato sulla tattica. E quel pizzico di nervosismo il cittì se l'era portato a presso anche in sala stampa, quando pochi minuti dopo, alla domanda del collega di Radio24 Dario Ricci, che gli chiedeva se con la squadra fosse sceso a una sorta di "patto" dal punto di vista tecnico, perdeva un po' il controllo alludendo al fatto che il giornalista avesse una talpa dentro lo spogliatoio. 

    Bingo. Perché evidentemente Dario, che di talpe ci ha confermato non averne suo malgrado nemmeno una, andava a cogliere nel segno. Le scelte tecnico-tattiche di Luciano Spalletti per la sfida con la Croazia sono state una discesa a patti. E ancor più che con la squadra, cosa evidentemente confermata da queste parole del ct, soprattutto con se stesso. Sì perché Spalletti ha provato e riprovato, ha testato e a volte persino filosofeggiato, poi ha preso atto di ciò che in fondo anche noi, umili spettatori facenti parte di quei 30 milioni di persone che in questi giorni si sentono ct della Nazionale italiana, ci eravamo già accorti: questa è una squadra da 3-5-2. Un modulo che forse Spalletti non ama. Una formazione con cui l'Italia non è mai scesa in campo sotto la sua gestione. Però, se di blocco-Inter si vuole vivere (a un certo punto sono stati 5 i nerazzurri in campo in contemporanea), anche a fronte degli effettivi valori che ha espresso questo campionato e i convocati che si hanno a disposizione, beh allora parafrasando proprio una frase diventata mito di Spalletti: "Non c'è altra strada". 

    Ed ecco allora Darmian nel suo ruolo di braccetto di destra della difesa a tre; ecco Dimarco - seppur ancora deludente - piazzato dall'inizio alto a sinistra nel centrocampo a cinque. Ecco Barella fare la mezzala destra e Pellegrini fare la mezzala sinistra. Ecco una seconda punta di ruolo, Giacomo Raspadori. Ecco insomma che ogni singolo interprete, senza troppo 'filosofeggiare', è stato messo almeno dall'inizio nella condizione di potersi esprimere nel suo ruolo naturale. Da qui, evidentemente, quel "patto" con la squadra, quel concetto che ha fatto arrabbiare il tecnico in sala conferenze, frutto a questo punto quasi di una sorta di "nervo scoperto": perché la sensazione che Spalletti vorrebbe fare dell'altro con questi ragazzi è ormai evidente a tutti considerati i vari tentatavi di questi mesi; ma al tempo stesso il materiale a disposizione è questo e citando un motto anglosassone non è "rocket science" capire che questo gruppo di convocati lavori probabilmente meglio con un 3-5-2 di qualsiasi altro modulo. 

    In fondo l'ha detto anche la partita. Che non è stata eccezione, diciamolo subito. Che non ha certo incantato, ci mancherebbe. Ma in cui a lungo l'Italia è stata in relativo controllo prima che un episodio - il mani di Frattesi - scombussolasse uomini e ormoni. Anche nella difficoltà però gli Azzurri hanno reagito, schiacciando una Croazia fin troppo rinunciataria e raccogliendo i ben noti frutti all'ultimo respiro possibile, con un gol che per "caratteristiche ambientali" tanto ricorda quello di Roberto Baggio alla Nigeria al Mondiale del 1994. Là il Divin Codino tirò giù l'Italia dall'aereo. Qui Mattia Zaccagni risparmia più che altro la figuraccia della seconda sconfitta consecutiva e di un probabile passaggio del turno più per generosità della formula che per meriti propri. La rete però è mistica, perché liberatoria è la portata del suo risultato. Il gruppo si leva di dosso chiacchiere e pressioni e anche il ct può finalmente fare pace soprattutto con se stesso, dimenticare quella fastidiosa "sindrome d'accerchiamento" che evidentemente si prova quando si vestono i panni del mestiere più praticato in Italia: quello, appunto, del commissario tecnico della Nazionale. 

    Non ci sono talpe. Non ci sono sotterfugi. Non ci sono trucchi o inganni. C'è un discreto gruppo che ha fatto fin qui tanta fatica in primis per le qualità tecniche - ci sono nazioni nettamente superiori all'Italia sul piano del puro talento - e poi, forse, anche per qualche scelta un po' cervellotica del ct. C'è però, anche, la sensazione, dopo questa serata infinita, di essersi tolti tutti un bel peso di dosso e di aver finalmente trovato la quadra. Chissà che la parte finale dell'aneddoto non possa esserne un'ulteriore riprova. Evidentemente tranquillizzato e sul pullman che riportava gli Azzurri in ritiro, un numero privato squillava sul cellulare del collega. Era Luciano Spalletti. Chiedeva scusa per le parole e i toni utilizzati poco prima. Si volta pagina, si va agli ottavi di finale. Forza! 

     

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    Te tu c'ha hulo!

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