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Sogno e incubo: l’Ajax 2018/2019, quando un manipolo di ragazzini incantò l’Europa
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La storia del calcio è scritta dalle squadre che hanno saputo portare a casa partite, campionati e coppe ma ce ne sono altre che, pur magari vincendo meno di quanto avrebbero potuto, o che, anche solo sfiorando il successo, hanno contribuito ad alimentarla, a lasciare un marchio ben impresso nella mente di quanti hanno osservato le loro gesta. Tra queste c’è sicuramente l’Ajax della stagione 2018/2019: guidata in panchina da ten Hag e in campo da De Ligt e De Jong, la squadra di Amsterdam seppe dare lezioni sonore a corazzate in giro per l’Europa mostrando un calcio fresco, veloce, tecnico e divertente. Protagonisti di un double in Olanda, i Lancieri si fermarono a un passo dall’ingresso in finale di Champions League ma, ancora oggi, per molti appassionati quella è stata una delle formazioni più belle da veder giocare.
PRIMA DELL’AJAX DEI MIRACOLI – Deus ex machina di quella squadra fu Erik ten Hag. L’ex difensore del Twente, allievo anche di Guardiola quando l’uno allenava il Bayern Monaco e l’altro la squadra riserve, subentrò in corsa nella stagione precedente ma, in pochi mesi, seppe costruire una macchina perfetta con ingranaggi ben oliati. Missione questa che ha poi provato a bissare in altri contesti, senza riuscirci. Ten Hag arrivò sulla panchina dell’Ajax nel dicembre del 2017 (la lascerà solo nell’estate del ’22 per il grande salto al Manchester United), prendendo il posto di Marcel Keizer, allenatore promosso dalla seconda squadra del club di Amsterdam. Questi era a sua volta stato scelto come erede di Peter Bosz che era stato capace di riportare i Lancieri nel gotha del calcio europeo con una finale di Europa League persa contro gli stessi Red Devils. Per Bosz si aprirono le porte del Borussia Dortmund, un'avventura che però si rivelò ben presto fallimentare per i gialloneri e per lui, esonerato anche lui a dicembre. Il regno di Keizer durò altrettanto poco e porto il club più importante d’Olanda a bassi difficilmente toccati prima. Nelle poche settimane in cui fu al comando, la sua squadra fu eliminata dalla Coppa nazionale, dai preliminari di Champions League e da quelli di Europa League: fu la prima volta dal 1990 che l’Ajax quindi non disputò alcuna coppa europea. Uno smacco troppo grande: serviva cambiare rotta e, per farlo, si puntò su ten Hag. Quella messagli in mano dalla società era una squadra giovane, in totale ricostruzione, senza grandi stelle ma con tanti talenti del settore giovanile pronti a prendersi spazio. Il mister olandese si prese i primi sei mesi per studiare bene il materiale umano che aveva sotto mano, portò il club a un sereno secondo posto in Eredivisie e pose le basi per una stagione, quella successiva, che sarebbe dovuta essere di riscatto. E così fu.
LA CAVALCATA – L’Eredivise 2018/2019 fu un appassionante testa a testa tra Ajax e PSV. La squadra di Eindhoven partì meglio e tenne a lungo la testa della classifica, quella di Amsterdam invece ci mise più tempo a rodare ma, man mano che la stagione entrava nel clou, furono proprio i Lancieri a prendere un abbrivio più promettente. A furia di vittorie e di goleade e sfruttando qualche pareggio di troppo della capolista, l’Ajax prima si mise in scia del Psv e poi lo superò sul rettilineo finale. Alla fine del girone d’andata era: Psv 48 punti, Ajax 46 ed entrambe vantavano una differenza reti spaziale fatta di 60 gol fatti e 8 subiti, un dominio. Nonostante gli impegni nelle altre coppe, l’Ajax riuscì a innestare una marcia in più negli ultimi mesi e mise le mani sul titolo, il 34esimo della sua gloriosa storia, un successo che mancava da 5 anni. E dieci giorni prima dell’ultima giornata di campionato, la squadra di ten Hag aveva già fatto sua la coppa dopo nove anni e contro il Willem II. I tempi cupi erano ormai alle spalle: l’Ajax era diventato il primo club olandese a completare il double dopo la stagione 2004-2005.
LA CHAMPIONS – Il meglio però la combriccola di ten Hag seppe darlo in Champions League, sul palcoscenico più importante che ci sia per un club di calcio. La campagna europea era partita molto presto. Era il 25 luglio quando l’Ajax scese in campo contro lo Sturm Graz nel doppio incontro valido per le qualificazioni alla fase a gironi. Superato l’ostacolo austriaco, se ne posero altri due: prima lo Standard Liegi, poi la Dinamo Kiev. Solo dopo aver passato questi altri due step, gli olandesi furono promossi alla fase a gironi dove trovarono Aek Atene, Benfica e Bayern Monaco, arrivando nel gruppo proprio dietro ai tedeschi, pur senza aver mai perso. Obiettivo ottavi di finale raggiunto e sarebbe potuto andare bene a tutti così. D’altronde il sorteggio aveva accoppiato l’Ajax ai campioni in carica del Real Madrid, un turno quasi già scritto in partenza. Dopo l’esonero di Lopetegui, la squadra spagnola era stata affidata a Solari e nell’andata in Olanda aveva vinto per 2 a 1. Tutto secondo pronostici tanto che Sergio Ramos, diffidato, decise di farsi ammonire di proposito in modo da saltare l’inutile sfida del ritorno per poi essere pronto per i quarti di finale. Poco meno di un mese dopo però, al Bernabeu, accade l’imponderabile. Ziyech-Neres-Tadic-Schone a fronte della sola rete di Asensio: il Madrid cade in casa 4 a 1, l’Ajax passa il turno. Ai quarti un altro ostacolo quasi insormontabile: la Juventus di Max Allegri e di Cristiano Ronaldo che segna l’1-0 nell’andata di Amsterdam e a cui risponde l'attuale napoletano dopo 30 secondi dall'inizio della ripresa. Tutto ancora in ballo. Al ritorno CR7 marca ancora il cartellino ma van de Beek e de Ligt sanciscono un'altra pesantissima vittoria fuori casa: l'Ajax passa ancora ed è tra le 4 migliori d'Europa. La strada verso la finale passa per il Tottenham e, nell'andata, gli Spurs sono anche privi di Kane. Il primo confronto è anche quello vinto dai Lancieri col solito van de Beek. Nel ritorno ad Amsterdam, dopo 4 minuti, è già tripudio dopo il gol di De Ligt, acuito ancor di più dal raddoppio di Ziyech. La gara però non è finita, anzi. Lucas Moura si prende il palcoscenico: prima accorcia le distanze poi porta i suoi sul 2 a 2. Nel recupero, a 20' dal triplice fischio, arriva la tripletta del brasiliano. La cavalcata è finita sul più bello: in finale ci vanno i londinesi che usciranno poi con le ossa rotte dalla sfida al Liverpool. Per l’Ajax una delusione enorme per un traguardo che era lì a portata di mano e che è sfumato sul più bello per errori difensivi (il Tottenham rovesciò il ritorno inserendo Llorente e cercandolo costantemente con lanci lunghi) e per mancanza di esperienza..
I PROTAGONISTI – La rosa di quell’Ajax era un mix di giovani stelle in rampa di lancio e vecchi leoni alle ultime battaglie, di onesti mestieranti e di giocatori sublimi nel tocco, nella gestione del pallone e nel dargli del tu. C’era qualità in ogni parte del campo, dalla porta fino all'attacco. In quella che era stata la prima estate di trasferimenti sotto l’egida di ten Hag, aveva salutato Kluivert, passato alla Roma per una cifra intorno ai 20 milioni, ed erano arrivati il roccioso centrale Magallan, l’esperto ma talvolta fumoso attaccante Tadic ed era tornato un figlio dell’Ajax come Blind. In porta, inamovibile nonostante grandi alti e qualche basso, André Onana. Il camerunense si libererà poi due anni dopo, a zero, per passare prima all’Inter e poi al Manchester United per oltre 50 milioni di euro. Portiere perfetto per guidare la giovane retroguardia e per impostare, fin dalla prima costruzione, un gioco aeroso e di comando. Davanti a lui, sugli esterni, Mazraoui e Tagliafico, corsa e qualità confermate poi anche negli anni a venire. In mezzo, di fianco al già citato Blind, il capitano De Ligt, un predestinato fin da teenager, forte, imperioso, tecnico e con grande personalità. In mediana Schone a far legna e a dettare i tempi in cabina di regia, con qualche incursione offensiva con inserimenti e calci piazzati. Al suo fianco l’altro wonder boy, De Jong. Regista dal tocco preciso e l’incedere elegante, capace di portar palla e di scagliarla a metri e metri di distanza, ha rubato gli occhi a tutti fin dai suoi primi trascorsi in campo. A completare un reparto cui non mancava davvero nulla ecco van de Beek: intelligenza, corse e inserimenti al servizio della squadra. Un uomo per tutte le occasioni col vizietto del gol. Gli esterni offensivi poi portavano classe e imprevedibilità: uno più funambolico, Neres, l’altro più preciso e cattivo sotto porta, Ziyech. Dribbling, giocate d’alta scuola, assist per elevare e accelerare il gioco. Mentre ai bomber veri (Huntelaar e Dolberg) erano concessi pochi scampoli comunque spesso tramutati in reti, la punta centrale era Tadic. Un ruolo inedito per lui, arrivato come inconcludente mezza punta in estate dal Southampton per poco più di 11 milioni e trasformata in un letale falso nove. Trentenne, la scommessa Tadic – ben lontana dalla filosofia del club di puntare sui giovani e, possibilmente, solo quelli del vivaio, senza andare a prendere giocatori esperti dall’estero – fu vinta a pieni voti. Il serbo chiuse una stagione irripetibile con 38 gol, di cui ben 9 in Champions League, ma i suoi tacchi, i suoi ricami, le sue giocate fecero lustrare gli occhi a tanti. Un ballerino con la palla tra i piedi che apriva gli spazi per gli inserimenti, uno che diventerà ben presto una bandiera e il capitano, prima del finale di carriera cui si sta avviando in Turchia.
IL LASCITO – Come spesso succede in casi come questi in cui, quasi dal nulla, una squadra si afferma tra le big, è restare a questo livello che diventa la cosa più complicata. L’Ajax non ce la fece a causa soprattutto del mercato. Alla fine di quella stagione infatti i Lancieri furono presi d’assalto dai top club europei che li spolparono dei loro migliori talenti. Dolberg passò al Nizza per oltre 20 milioni, De Jong al Barcellona per 75 e De Ligt alla Juventus per 85. Salutarono anche comprimari come Wober e Sinkgraven e persino Schone (passato al Genoa in un'avventura dimenticabile). Furono sostituiti da Marin (ora al Cagliari), Lisandro Martinez, Edson Alvarez e Promes in una sessione che portò nelle casse degli olandesi un differenziale in positivo di 140 milioni di euro. Sul campo però i risultati furono ben diversi. Nell’annata successiva il campionato non fu assegnato a causa del Covid, con l’Ajax che era comunque primo insieme all’AZ nel momento dello stop. In Europa poi arrivarono un’eliminazione nella fase a gruppi della Champions League e un’altra nei sedicesimi di finale di Europa League contro il modesto Getafe. La magia era finita. Negli anni a venire se ne andarono anche tutti gli altri protagonisti di quella stagione. Van de Beek passò nel 2020 allo United per 45 milioni di euro, un flop clamoroso. Nel gennaio del 2022 Neres si accasò per 18 milioni di euro allo Shakhtar Donetsk ma dopo sei mesi decise di ripartire dall’Ucraina in guerra per andare al Benfica per 15 milioni. Andò un po’ meglio a Ziyech discreto tra Chelsea e Galatasaray. Tutti lasciarono l’Ajax per prendersi il mondo ma nessuno davvero ci riuscì, nemmeno i due più pubblicizzati come De Ligt e De Jong, frenati da infortuni, errori e mai davvero diventati tra i migliori al mondo nei loro rispettivi ruoli. In tanti hanno provato a decriptare l’enigma: perché giocatori che sembravano pronti a brillare ovunque si sono poi rivelati per lo più deludenti? Difficile svelare ancora oggi l’arcano, certo è che la magia che si creò, l’unione che quei talenti trovarono fu ben superiore alla semplice somma di ognuno di loro, un’alchimia che permise loro di brillare come mai più hanno fatto nel prosieguo delle loro carriere. Nonostante un ciclo brevissimo, aperto e chiuso in pochi mesi, quell’Ajax ha lasciato un segno. E lo ha fatto per il modo spensierato, libero, leggero e divertente con il quale giocava, con il quale è riuscito a mettere insieme talenti presi da ogni parte del mondo e con meno di 24 anni di media. La squadra di ten Hag seppe portare una ventata di freschezza, mostrare la bellezza del calcio quando lo si gioca a due tocchi, con l'obiettivo di divertirsi e divertire come se si trovasse a un torneo giovanile quando invece si stava destreggiando in Champions League e tutti gli occhi degli appassionati di questo sport, in tutto il mondo, erano prima al Bernabeu e poi allo Stadium. Non ci furono corazzate, fatturati o monte stipendi che tenessero, le imprese dell'Ajax a Madrid e Torino resteranno impresse anche più della disfatta nel finale con il Tottenham.