FEDCAS
Siamo tutti un poco alessandrini
Osservata dalle nuvole, Alessandria ha la forma di una stella incastonata nella terra. Si tratta dell’unica suggestione gentile che è in grado di regalare. Di fatto questa città fin dalle sue origini nell’Alto Medioevo era conosciuta come la roccaforte delle paludi. Una definizione assai esplicativa rispetto all’ambiente nel quale era stata costruita e anche al carattere dei suoi abitanti. Una terra avara, avvolta da spesse nebbie durante gli inverni infiniti e brodo di coltura per legioni di zanzare assetate. Una piana fatalmente “invidiosa” delle dolci colline che si potevano intravedere da lontano dell’Albese e del Monferrato. Un punto del mondo, insomma, in eterno credito con la natura, poco amica, e della fortuna che l’aveva sistemata quasi per scherno al centro del ricco triangolo Torino-Milano-Genova. Forse per reazione a questo “inganno” del destino la gente alessandrina ha imparato ad affrontare la vita a muso duro tirandosi su le maniche della camicia e non barando mai al tavolo da gioco esistenziale. Chiusi per carattere e schivi rispetto alle cose superflue o inutili, gli uomini e le donne della piana non hanno mai avuto necessità di pietire con i lamenti. Mai. Neppure venti anni fa, sommersi dall’acqua del Tanaro. Anche i bambini provvidero alla ricostruzione.
Già questo, da solo, basterebbe per far capire il perché anche un semplice successo sportivo potrebbe in qualche modo estinguere seppure in minima parte il debito che il destino ha nei confronti di Alessandria, una città per i cui abitanti la squadra di calcio possiede una valenza che va di oltre la semplice cifra sportiva. Un raggio di luce ad attraversare la nebbia. Un modo coerente, tra l’altro, per ricordare e celebrare le figure di due campionissimi nati in due frazioni diverse del capoluogo, Girardengo e Coppi ovvero i due personaggi planetari grazie alle cui imprese questa terra trovò l’onore del mondo. Eppoi lui, Gianni Rivera. Il terzo famoso tra i famosi. Il fuoriclasse che, come ha sempre sostenuto, non è mai stato un calciatore ma soltanto una persona che si è divertita giocando a pallone. Tutti personaggi che hanno dato il cuore anche nel nome della culla nella quale sono nati.
Ecco perché posso immaginare che domani sera lo stadio Olimpico di Torino sarà un ruggire mandrogno e un fiorire di bandiere grigie con frange tifose granata e bianconere impegnate a sostenere la causa alessandrina a fianco del popolo arrivato dalla piana. E in tribuna Urbano Cairo, alessandrino doc, con una punta di nostalgia dimenticherà la sua adozione milanese e i suoi trascorsi imprenditoriali con Mediaset. Seppoi, come ciliegina sulla torta, si volesse inventare una scenografia adeguata all’evento allora sarebbe stupendo vedere nella curva alessandrina l’esposizione di una gigantografia-simbolo per un giorno speciale: la riproduzione del “Quarto Stato” il quadro composto da Pellizza da Volpedo con gli uomini e le donne delle paludi che s’avanzano fieri contro il Potere per reclamare e ottenere ciò che l’avarizia del destino ha loro negato.