Sconcerti Quotidiani: seconde squadre? Ma per favore
Si parla molto di seconde squadre per le società di serie A. L’esempio è soprattutto quello del Barcellona e del Real che hanno una rappresentativa, loro a tutti gli effetti ma con altro nome, in serie B o C. Naturalmente non possono mai vincere il campionato altrimenti si troverebbero contro la loro squadra madre e sarebbero in conflitto d’interesse, ma hanno alcune indubbie utilità. Permettono di far giocare in casa i giovani tra i 19 e i 23 anni, in quel periodo di vuoto in cui non sono più dei Primavera ma non ancora giocatori di A. Permettono di non regalare una parte del giocatore a chi lo prende in prestito. Tutte le squadre di A sono costrette a ricomprare una parte dei loro giovani riscattandone il prestito dell’anno prima. Ogni stagione, in sostanza, perdono un po’ della loro proprietà. Avessero una loro squadra in B o in una buona C tutto sarebbe risolto automaticamente. Apparentemente funziona, ma c’è un particolare: è impossibile e soprattutto sarebbe ingiusto. L’Italia è un paese di città, una squadra di calcio è la rappresentante di una città non viceversa. Se una decina di seconde squadre giocassero in B chi direbbe a Perugia o Brescia, a Latina o Vicenza che devono farsi da parte per lasciar spazio alla seconda squadra di Inter e Milan? E che regolarità avrebbe, quale interesse, un campionato dove la metà delle squadre che vi partecipano non possono vincere? Davvero c’è qualche nuova mente che pensa di salvare il calcio così? Può spiegarsi meglio?
Mario Sconcerti, dal corriere.it