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    Sampmania: il tizio che annega e la testa fuori dall'acqua

    Sampmania: il tizio che annega e la testa fuori dall'acqua

    • Lorenzo Montaldo
    Sampdoria-Verona è stata come una seconda boccata d’aria per il tizio che sta annegando. Il Doria stava affogando, sommerso dalle onde della Serie A, ma a Salerno, con le ultime energie residue, è riuscito a tirare la testa fuori dall’acqua, prendendo un primo, prezioso respiro. L’ossigeno, all’improvviso tornato a circolare nei polmoni, gli ha permesso di recuperare la forza necessaria per tenere la bocca fuori ancora un po’. E così, il nostro malcapitato è riuscito a tirare giù una preziosa, vitale iniezione di fiato. Le onde stanno arrivando, le vediamo già, lì dietro. Ce n’è una, imprevedibile, di nome Fiorentina. Non sai come ti arriverà addossi, se sotto forma di impattante muro d’acqua, o di innocua turbolenza. Subito dietro c’è il cavallone Lazio, e poco più in là sta già iniziando a crearsi un gorgo inquietante e pericoloso. Si chiama Derby. Però adesso hai un po' di vigore in più per provare a resistere. 

    I due sorsi d’aria pura, però, non sono stati identici. Il primo, quello di domenica scorsa, origina dal ricorso straordinario alle poche energie rimaste in fondo al cervello dell’uomo che annega, all'ultimo barlume di lucidità prima del buio. Il respiro di ieri, invece, è diverso. E’ stato più lungo e intenso, sostenuto una partita finalmente convincente e meritata. La Samp ha impattato contro un Verona trasfigurato rispetto alle ultime uscite, molto più dimesso e, soprattutto, confusionario. L’Hellas ha sbagliato molto, il doppio del solito, e la Samp ha saputo approfittare di questa contingenza. Come le sconfitte non sono sempre e solo frutto della sfiga e dei meriti altrui, però, così neppure le vittorie nascono perennemente dai difetti avversari. Ieri, ad esempio, la partita poco fluida disputata dai gialloblù è riconducibile pure ad alcune scelte tattiche di D’Aversa. 

    L’allenatore ha dovuto fare di necessità virtù, schierando l’unica formazione possibile con gli uomini a disposizione, e alcuni dettami tattici hanno contribuito ad incartare il gioco della formazione di Tudor. Ha pagato, ad esempio, la scelta di francobollare Ekdal su Barak. Questa è stata la prima chiave del match. Gran parte della manovra ospite passa dal movimento del trequartista, bravissimo ad interpretare in maniera moderna ed intelligente il ruolo del rifinitore tra le linee. Barak non staziona alle spalle della punta, ma accorcia a centrocampo e si allarga indifferentemente a destra e a sinistra, creando non pochi problemi di equilibrio, competenze e divisioni dello spazio agli avversari. L’ordinata caparbietà dello svedese, invece, ha contribuito a creare alcune certezze alla formazione doriana. L’altra mossa intelligente è rappresentata dalla ‘gabbia’ approntata per Caprari, preso quasi sempre da Thorsby o dal centrale non impegnato al momento in marcatura sull’unica punta. Con questa disposizione il Doria ha pagato qualcosina dal punto di vista della costruzione, ma ne ha giovato moltissimo in termini difensivi. E si è visto. L’Hellas ha trovato il gol con una deviazione, in caso contrario non penso avrebbe sbloccato in maniera agevole la prima frazione di gioco.

    L’altro buon segnale lo ritrovo nella reazione della ripresa. Forse per la prima volta da inizio anno, la Samp non si è spaventata, non ha iniziato a tremare, sfaldandosi rapidamente e perdendo sicurezze. Eravamo stati abituati ad una compagine che si sfarinava al primo ostacolo, e nei quindici minuti tra un tempo e l’altro era proprio questo il mio grande, gigantesco timore. Temevo un secondo tempo come con il Bologna, ne sono usciti quarantacinque minuti di discreto calcio. ll Verona ha abbassato l’assetto, rinculando sino sulla sua trequarti, Candreva si è (ancora) caricato la squadra sulle spalle e il resto, beh, il resto è il 3-1.

    Non siamo all’improvviso diventati il Barcellona, intendiamoci. Tutt’altro. Però di negatività, più che giustificata, ne abbiamo già abbastanza di contorno, quindi non roviniamoci inutilmente la domenica. Due boccate d’aria non bastano per salvarsi, serve una zattera, un rottame, qualunque cosa a cui aggrapparsi per superare le onde che imperversano. Anzi, questo è il momento di maggior attenzione per un naufrago, che rischia di sentirsi ormai al sicuro in un momento delicatissimo. Rilassarsi equivale ad essere spacciati. Se vai di nuovo sotto con la testa poi bevi, e non riemergi più. Però puoi ancora provare a lottare, ed è più di quanto osassi chiedere dieci giorni fa, quando sentivamo già l’acqua salata nei polmoni. Stavolta, un po’ l’abbiamo sputata fuori. 

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