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Salviamo Totti, il Cavaliere Inesistente
Le bandiere, ammettiamolo, sono una bella cosa, soprattutto quando garriscono al vento. Ma credo anche che meritino di non essere inzuppate nel veleno della retorica. Prendiamo le bandiere del gioco del calcio. Pensiamo alle storie di Del Piero ieri e Totti oggi.
Il calcio non è più un gioco, ma un grande business. E il business usa la retorica, non si fa usare. Per questo usa le bandiere, ma quando non servono più si disfa velocemente di loro. E' quello che ha fatto la Juventus, ha “spontaneamente” convinto Alessandro Del Piero che era arrivato il momento di lasciare. Non il calcio, ma la Casa Bianconera. A Torino hanno sobrietà sabauda e modi garbati, ma la sostanza non cambia: non è stato un arrivederci, ma una rottura. E anche da quel momento la Juve di Andrea Agnelli ha ricominciato a vincere, anzi a stravincere. Oggi mi piacerebbe chiedere al presidente bianconero: c'è finalmente posto in società per l'ex capitano? Non credo, qualunque possa essere l'eventuale risposta di Agnelli. Il figlio dell'ingegnere sa già che, prima o poi, lascerà la Juve per dedicarsi ad altro, probabilmente alla Ferrari. E Agnelli sa pure che l'erede designato per sostituirlo non sarà Del Piero, ma più probabilmente il fidatissimo Nedved. Bandiere.
Altra storia, più recente, forse meno complicata. Riguarda il destino di Francesco Totti. Ultimo contratto in scadenza a giugno, 40 anni a da compiere a settembre. Lui da qualche tempo mi ricorda il “Cavaliere inesistente” di Italo Calvino. Non si arrabbino i romanisti, è un personaggio meraviglioso e l'eredità della sua bianca armatura è un passo memorabile nella lettera fantastica.
Ma l'augurio è che in questa storia, del Capitano e delle sue avventure, non ci sia nel finale un suicidio calcistico. Totti non merita di essere usato, deve essere amato. Ieri ho letto sul Corriere dello Sport una dichiarazione del mio cantastorie preferito, Francesco De Gregori. Ha detto: “Grazie Francesco Totti, ma è ora di smettere”. Condivido, ma vorrei aggiungere qualcosa. Questa è la stagione più triste del Cavaliere Inesistente. Mentre i mille problemi dello sciagurato Rudi Garcia travolgevano l'ennesima annata giallorossa, su Totti calava il silenzio. Nessun parlava di lui e lui non parlava con nessuno, almeno pubblicamente. La prima immagine nitida del Cavaliere Inesistente viene scattata in un pomeriggio di sole all'Olimpico, il 20 settembre 2015, domenica di Roma-Sassuolo. Totti festeggia il suo trecentesimo gol in giallorosso. Festeggia senza nessuna voglia di festeggiare. Non c'entra che quel gol fosse in fuorigioco, non è questo il punto, non è il motivo che fa scendere un velo di tristezza sul sorriso del campione. E' triste, malinconico e finale, mentre manda un bacio alla moglie e ai figli. Totti non ha voglia di festeggiare, non ha voglia di parlare. Non ha voglia di scuotere la ciurma quando la Roma costruita per vincere sembra destinata solo a perdere. E' in questo linguaggio liquido fatto di gesti, sguardi e silenzi, che nasce il Cavaliere Inesistente.
Dimenticato da Garcia, il campione diventa un problema solo con l'arrivo del salvatore Luciano Spalletti. Confesso: ho la sensazione che Totti non possa essere un problema, ma che per Spalletti possa diventare un utile pretesto. L'allenatore lo ha asfaltato nell'ultimo faccia a faccia con Zeman, che il boemo ha sostenuto e stravinto negli sudi della Domenica Sportiva. “Non alleno solo Totti”, ripete Luciano. Vero, ma allena anche Totti e insistere sulla precisazione appare almeno ingeneroso. Una cosa comunque è certa: Totti, alla fine di Roma-Real Madrid, non meritava di entrare in campo al 42' del secondo tempo. Nel pub di Trastevere dove ho visto la partita con il mio amico Andrea Fabozzi solo lui si è accorto di questo gesto di infinita tristezza. Gli altri spettatori senbravano più interessati agli errori difensivi di Digne. Ha ragione De Gregori: grazie Cavaliere, ma è arrivato il momento di arrendersi. Bandiera (giallo) rossa non trionferà. Peccato.