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Sacchi: 'De Zerbi un maestro, gli dissi di difendere. Vi spiego perché non lavora in Italia...'
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"Leggo che il nome di Roberto De Zerbi viene accostato a quello di grandi club internazionali come il Barcellona e il Liverpool - scrive Sacchi sulla Gazzetta dello Sport -. Ne sono felice, perché considero De Zerbi l’allenatore più interessante dell’ultima generazione e perché lo ritengo pronto per sedersi su panchine così importanti. Semmai mi spiace che nessuna società italiana, almeno stando alle voci che arrivano dal mercato, stia pensando a lui: così come è stato un peccato esserselo lasciato scappare qualche anno fa, quando andò prima in Ucraina e poi in Inghilterra, adesso sarebbe un peccato non provare a riprenderlo, anche se duellare con Barcellona e Liverpool non sarebbe semplice.
"De Zerbi è un allenatore che migliora i giocatori, li fa crescere, è capace di dare loro uno stile - prosegue Sacchi -. Ha le qualità del maestro, insomma. Lo conosco da molti anni. Un giorno mi telefonò e mi chiese se potevamo vederci per parlare di calcio. Lo invitai a casa mia, ma prima mi feci spedire alcune registrazioni delle partite della sua squadra. Al tempo allenava il Foggia. Rimasi stupito: il suo Foggia sembrava una squadra spagnola, possesso-palla, pressing, dominio del campo. Poiché ero amico della famiglia Squinzi e dell’a.d. Giovanni Carnevali lo consigliai al Sassuolo: questo è l’allenatore giusto per voi, dissi. Ha un modo di far giocare che valorizza i giocatori. De Zerbi e il Sassuolo non si accordarono subito, trascorse più di un anno prima che si concretizzasse il matrimonio, ma quell’unione fece la fortuna di De Zerbi e del club".
E poi, sulla fase difensiva: "Ricordo che, quando lavorava a Sassuolo, mi capitava spesso di seguire i suoi allenamenti: formidabile nell’insegnamento della fase offensiva, però si occupava poco della fase difensiva. Glielo dissi e lui mi promise che avrebbe fatto tesoro del consiglio".
Infine, sul futuro: "De Zerbi è un ragazzo che ha in mente un concetto preciso: vuole innovare, cerca di andare oltre il presente, si propone di trovare soluzioni per il futuro. Mi domando: perché un giovane allenatore come lui è stato costretto a emigrare per raggiungere grandi traguardi? La risposta, secondo me, sta nel fatto che l’Italia è un Paese calcisticamente vecchio, e chiunque arrivi a portare nuove idee viene sempre osservato con troppa diffidenza e poca benevolenza. Un vero peccato".