Calciomercato.com

  • Sabatini a CM: 'Ho amato la Roma, finirò al Bologna. La lite con Conte, Spalletti un genio. Inter, i segreti dell'imperatore Zhang'

    Sabatini a CM: 'Ho amato la Roma, finirò al Bologna. La lite con Conte, Spalletti un genio. Inter, i segreti dell'imperatore Zhang'

    • Pasquale Guarro
    “Richiamami tra un’ora, però prepara argomenti stimolanti e non farmi domandine del cazzo”. Tormentato, infastidito, finanche da un’intervista, che rischia di essere una scocciatura, un fascio di inutili domande. Una perdita di tempo. Condizionato dalla sua mente, rifugio e prigione insieme. Intellettuale, ostile al sentimento analitico. Solitudine e sofferenza i filtri per la sua guarigione, perché Walter Sabatini è fatto così, si annienta e rifiorisce, muore e risorge dalle sue ceneri.

    Un’ora dopo…

    Ricorda quando parlava della Roma spiegando la difficoltà di riconoscersi come persona fisica al di là del ruolo? 
    “Sì, ero il ds del club in qualsiasi momento della giornata, qualsiasi cosa facessi”. 

    Una fantastica dichiarazione d’amore. A che punto siamo col Bologna?
    “Vivo una passione crescente, questa città mi offre ogni giorno qualcosa di nuovo per amare di più. Qui ricopro un ruolo diverso, ci sono anche Di Vaio e Bigon, non sono il fulcro, ma sento che mi sto innamorando”. 

    A Roma hanno capito tardi che lavoro aveva svolto e che patrimonio avrebbe lasciato al club.
    “Normali dinamiche della vita, i morti riscuotono sempre più successo dei vivi. Ma da morti si sta bene, non è come dicono”. 

    Mi fa pensare che è finalmente riuscito a staccarsi da quel contesto. 
    “È che sto assistendo ai miei funerali con un certo distacco. Non sono più in quel vortice di sentimenti, che invece adesso si sta accendendo per il Bologna. Non voglio essere banale, ma ammiro molto i miei calciatori, mi emoziono ogni volta quando li vedo scendere in campo e il cuore pulsa forte quando Tomiyasu interviene in scivolata e poi gioca con pulizia la palla usando il piede debole. Mi emoziono anche quando Palacio brucia in velocità ragazzini di vent’anni più giovani, quando Barrow rientra e calcia all’incrocio, quando Danilo vince un duello aereo e Gary Medel esce vincente da un tackle scivolato. Ma in generale mi emoziono quando gioca la mia squadra, cioè il Bologna, che per me è motivo d’orgoglio. Sinisa Mihajlovic ha dato a questa squadra un volto, una mentalità, un modo di essere e interpretare la partita, che agevola di molto la prestazione individuale di ognuno di loro​”.

    A proposito di Barrow, qualcuno lo ha criticato. Cosa gli manca?
    “Barrow è un calciatore fortissimo, ha tutto per fare 20 gol a stagione. Deve tenere acceso il fuoco dentro, che invece ogni tanto perde vigore”.

    Le piace l’etichetta di visionario del calcio?
    “Mi piace perché penso sia vera”. 

    Per molti è un maestro, ma a sua volta da chi sente di aver imparato qualche trucco del mestiere?
    “Io non sono un maestro, d’altronde la mia postura verso la vita è impaziente e lo è ancora di più verso il calcio. I maestri sono invece quieti e riflessivi. Da giovane ho avuto dei riferimenti, ho rubato qualcosa a Ricky Sogliano, che era un coraggioso, un decisionista. Nel 1982 era il ds del Parma e svecchiò di molto il gruppo. Non aveva paura di scommettere sui giovani (Salsano, Pari, Aselli) e quell’anno in squadra ce n’era tra gli altri uno molto bravo, che aveva 15 anni, ma che carattere… Eravamo al ristorante in un pranzo pre gara in vista della trasferta di Trieste, si avvicinò il team manager e chiese se a qualcuno servissero biglietti, nessuno alzò la mano, Trieste è lontana… Nessuno alzò la mano tranne uno, il quindicenne: a me ne servirebbero cinque. Scoppiammo a ridere, se questo a 15 anni chiede 5 biglietti, cosa chiederà a 20 anni? Era Nicola Berti”. 

    Più o meno la stessa età di suo figlio. 
    “Santiago ne ha 16”.

    Che padre è stato?
    “Fisicamente assente, ma vicino con l’anima. Posso dire di avere un figlio speciale, ma lo è stato fin da bambino, con quella sua commovente passione per la Roma e per Dzeko, nonostante adesso io non ne faccia più parte. Ha sempre amato Edin, fin dai tempi del City, ricordo ancora i suoi occhi quando gli dissi che sarei partito per andare a trattarlo. «Santiago, papà deve andare via per un giorno, vado a comprare Dzeko». «Dzeko alla Roma? Non è possibile». «Non torno senza». Gli feci questa confidenza, so che non tradirebbe mai la mia fiducia. Il giorno dopo i giornali aprirono con la notizia “La Roma pensa a Dzeko”, mi chiamò in lacrime giurandomi di non aver parlato con nessuno. Gli risposi di non preoccuparsi e che sapevo non appartenesse a lui alcuna responsabilità. Senza Santiago sarei probabilmente già morto, è la mia luce. La giustificazione della mia vita”.

    Sa già cosa vuole fare da grande?
    “Non ha alcun dubbio, lui sa già che diventerà un direttore sportivo”. 

    Lo aiuterà?
    “Lo aiuterò solo se capirò che avrà attitudine e senso del sacrificio”. 

    Il Santiago ds avrà qualcosa di Walter?
    “Di mio avrà la sensibilità e l’immediatezza”.

    Non crede di dare ancora troppo valore a un mestiere che nel calcio moderno sta scomparendo?
    “È vero, quella dei ds è una categoria in declino, è incontestabile perché attiene alle abitudini e agli intendimenti delle nuove proprietà, soprattutto quelle provenienti dagli Stati Uniti. Moneyball ha fortemente intossicato l’ambiente e fatto nascere un’altra tendenza, quella di attribuire a statistiche scouting un’importanza risolutiva. Ma il calcio è fatto di tantissime altre cose e mai si potrà prescindere dalla figura del direttore sportivo”. 

    Vorrei tornare ai maestri, nessuno oltre Sogliano?
    “La mia non è presunzione, ma preferisco andarmi a cercare maestri altrove, senza apparire snob. Credo che la letteratura mi abbia dato molto, perché racconta di mondi sconosciuti, ma che devono esistere se qualcuno li racconta. Lì trovo risposte agli interrogativi che puntualmente mi assediano”.

    Quanto è importante la sofferenza nella sua vita?
    “Soffrire è un diritto, come lo è la solitudine, anche se queste esigenze vengono recepite con sussiego. L’isolamento rimane il modo migliore per metabolizzare un dolore e per venirne fuori. Nella solitudine e nella sofferenza si coltiva l’intelligenza sensibile, ben diversa da quella analitica. Quella può essere pericolosa. Mi capita anche dopo una sconfitta, che vivo esattamente come 25 anni fa. Me ne sento responsabile, a volte penso che potrei digerirle con uno spirito diverso ma poi arrivo alla conclusione che la mia forza è proprio questa. Viverla esattamente in questo modo”.

    Cos’è la sconfitta?
    “Qualcosa di intollerabile, di indecoroso. Mi toglie dignità, mi costringe ad abbassare lo sguardo”. 

    Antonio Conte vive la sconfitta al suo stesso modo, non oso immaginare che coppia potreste essere. 
    “Beh, una coppia improbabile. Proprio con Conte ho discusso a Bologna perché lui nel dopo partita, commentando la sfida ai giornalisti, ha liquidato un nostro gol come un semplice autogol, che invece è stato un tiro di Palacio appena deviato, avvenuto dopo una serie di 10-12 passaggi. L’ha liquidato come autogol oscurando una cosa molto bella e la bellezza va valorizzata, non eclissata”.

    Con Spalletti ha un altro rapporto. 
    “Intanto perché ci ho lavorato, mentre con Conte la conoscenza è marginale, fatta salva la stima che ho di lui e di cui è a conoscenza. Con Spalletti c’è un altro rapporto perché abbiamo lavorato e sofferto insieme. Quando parliamo di Luciano, parliamo di un genio assoluto. Non vedevo l’ora che arrivasse furente nel mio ufficio, con quello sguardo sbarrato, per presentarmi questioni irrisolvibili”. 

    Si aspettava rimanesse tanto tempo ai margini?
    “È stata una sua scelta, di occasioni per tornare ne ha avute molte ma ha preferito staccare per un po’ da un mondo che consuma. Ci sono tanti esempi del passato, a volte bisogna prendere una boccata d’aria perché lo stress è alto. Lui è andato a fare il contadino, sta respirando aria buona”. 

    Qualche suo ex calciatore sostiene vedesse troppe ombre, temendosi al centro di discorsi diffamatori ogni qual volta si creava un gruppetto lontano da lui. 
    “Non bisogna mai ascoltare i calciatori che parlano dell’allenatore dopo, così come non bisognerebbe ascoltare i discorsi degli impiegati che parlano del capufficio dopo la conclusione del rapporto. Spalletti è un provocatore, attinge alla sua genialità. I calciatori sono poco attendibili, ha ragione Márquez, La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. E io conservo meravigliosi ricordi di Spalletti”. 

    Avete mai parlato insieme del vampiro di Appiano?
    “No, ma non credo facesse riferimento a una persona in particolare. Appiano è un luogo sacro, che in qualche maniera può opprimere la squadra o condizionare qualche calciatore”. 

    Buon dribbling. Ha avuto tanti allenatori, sia da calciatore che da ds. Mi dice chi secondo lei è stato il più grande di tutti?
    “Credo di non fare un torto a nessuno dicendo Nils Liedholm. Si innamorò di me durante un Catanzaro-Varese e mi portò alla Roma. Segno di come il talento possa ingannare anche un occhio esperto come il suo. Quando imbroccavo la partita davo spettacolo, ma ne imbroccavo una su 20”. 


    Tornando all’Inter, cosa ha rappresentato per lei?
    “Un grandissimo rammarico, meritavano più impegno e pazienza da parte mia e invece sono stato una meteora”.

    Avrebbe mai potuto immaginare una tale crisi economica come quella attuale?
    “Mai. Andavo in Cina una settimana al mese e ho avuto modo di percepire l’impero galattico di Zhang. L’ho visto da vicino e tutt’ora sono incredulo. Paradossalmente conosco meglio Jindong che Steven”. 

    Che tipo di interlocutore è stato Zhang?
    “Estremamente intuitivo, faceva molti sforzi per capire la cultura occidentale. Ricordo cene sontuose insieme a Fabio Capello. Attorno a Zhang si muoveva un gruppo enorme di persone e lui era il loro imperatore. Non era facile”.

    In questa Inter c’è ancora qualcosa di suo?
    “C’è Bastoni, che sento come mio. All’epoca trattavamo diversi profili ma vedevo in quel ragazzo doti che gli avrebbero consentito di affermarsi in campo internazionale”.

    A Pinzolo la sorpresi in un attimo di solitudine e mentre fumava le chiesi di Martial. Mi fece giurare di non far uscire quel nome. 
    “Perché ci stavo provando, loro volevano Perisic e poteva essere un’opportunità”. 

    A proposito, come va col fumo?
    “Ho smesso con le sigarette da adulto, adesso fumo quelle per bambini. Ho dovuto comunque adottare un succedaneo come la sigaretta elettronica perché senza fumo non tolleravo una riunione per più di tre minuti, andavo in sofferenza e non sopportavo più nessuno. Adesso sono nuovamente un animale sociale”. 

    Non sento più la voce rotta dalla tosse e neanche l’affanno. 
    “È vero, mi sento bene. Fatico a contenere le energie. Posso contare su una riserva di vitalità che voglio destinare al Bologna”. 
     
    Nel calcio è difficilmente decifrabile, ma c’è qualcuno che sappia decodificare i suoi silenzi?
    “Mia moglie”. 

    La cosa le fa più rabbia o piacere?
    “È un suo diritto. La persona che più di tutte mi ha aiutato nelle difficoltà. Le hanno comunicato la mia imminente morte almeno un paio di volte e credo non debba essere stato facile. Il suo è un coraggio fisico e cerebrale”. 

    Non si lamenta della sua assenza?
    “Ma scherza? L’assenza rivaluta le persone, le mette su un piedistallo. Bisogna aver voglia di scomparire ogni tanto”. 

    In sei anni a Roma appariva e scompariva, nessuno riusciva a pescarla con le mani nel sacco durante una trattativa.
    “Mi sono specializzato nel trasformismo”. 

    Ci sarà stato qualche cameriere che l’ha ripresa di nascosto col cellulare o qualche albergatore in un sottoscala…
    “L’importante è che non mi abbiano visto o ripreso con qualche donna”

    Mi racconta la trattativa più esaltante?
    “Salah. Avevo intuito immediatamente che potesse essere quel tipo di calciatore capace di fare impazzire di gioia i tifosi della Roma”. 

    C’era anche l’Inter, ma Fassone si tirò indietro per non mettersi in mezzo al contenzioso tra Fiorentina e Chelsea.
    “Io mi tuffai dentro con tutta la grinta che avevo in corpo. Andai a Londra a trattare con Marina Granovskaia e mi ero portato avanti anche con il suo agente. Ho vissuto quella trattativa come un golpe, l’operazione sembrava impossibile e invece alla fine è arrivato alla Roma”. 

    Qual è stata invece la delusione più cocente?
    “Non posso dirtelo perché ne ho avute troppe o per lo meno una rilevante quota di delusioni, sia per cose che non sono riuscito a fare sia per come si sono espressi taluni calciatori”. 

    Oggi chi la fa emozionare di più tra Haaland e Mbappé? 
    “Mi emoziona più Mbappé, ma comprerei Haaland. Il primo è incontenibile negli strappi, ma il secondo domina l’area, farà centinaia di gol”. 

    Anche Moratti a suo tempo mi rispose la stessa cosa. 
    “Moratti è un grande intenditore di calcio e sarebbe stato per me un grande presidente. Mi spiace non averlo mai incrociato nella mia vita, ci siamo solo salutati quando sono arrivato all’Inter. Andai nei suoi uffici, gli chiesi di spiegarmi l’Inter e fu molto esaustivo”. 

    Ha qualche amico nel calcio?
    “Non legherei la questione al solo calcio. L’amicizia è impegnativa e io non posso permettermela. Coltivo enormi sentimenti di amicizia verso alcune persone, ma non la pratico. Date da ricordare, situazioni da seguire, è un impegno reale. Ci sono persone verso le quali sento un certo trasporto, uno di questi è Rocco Dozzini, un uomo cerebrale. Se ci penso mi dispiace, molti avrebbero meritato la mia amicizia nel senso pieno del termine. Forse oggi è troppo tardi…”

    L’amico che più le manca?
    “Non può farmi questa domanda, mi distrugge”. 

    Il Bologna è la sua sfida finale?
    “Si, ma è una sfida che si rinnova. Voglio portarlo in Europa e poi iniziare altre sfide”.

    Altre Notizie