Sabatini: ricordate lo sfogo di Malesani? Sono passati 10 anni
Il 16 dicembre 2005 non c’erano gli smartphone e neppure Whatsapp. Nemmeno i gruppi su Facebook e altri social network, tutti abbastanza socialmente inutili ma frequentatissimi quando c’è da eleggere a mito o prendere di mira qualcuno.
Dieci anni dopo c’è tutto questo, e si accendono dieci candeline per festeggiare un compleanno speciale: quello dello sfogo di Alberto Malesani al Panathinaikos. Milioni di visualizzazioni, più una decina di clic nel senso di telefonate chiuse: a Malesani hanno chiesto di replicare, commentare, ripensare. Semplicemente dire qualcosa su quel giorno e quello sfogo. Lui ha risposto “no, grazie”. E clic.
Eppure, risentendo quel che diceva, viene spontaneo rivalutare alcune sue parole. Forse il nostro amico Ulivieri, punto di riferimento degli allenatori, potrebbe far vedere questo video per spiegare, in 3 minuti e pochi secondi, quanta tensione si accumula in panchina. E dovrebbe anche regalarne la trascrizione, il testo completo, a chi frequenta il Supercorso di Coverciano. Perché abbiamo tutti sghignazzato per i “cazo” e la traduttrice impassibile che prende appunti, per le manate sul tavolo e il dialetto veneto, ma pochi hanno riflettuto su quel che ha detto Malesani:
“Perché deve esserci sempre un deficiente di turno qua, che paga per tutti? Cazo!”.
Già: (quasi) in tutto il mondo, l’allenatore viene trattato senza alcuna cautela. E’ meraviglioso che il calcio parlato riesca a sublimare la libertà dialettica, ma ci vorrebbe più rispetto. Anzi, andrebbe imposto: come quel #respect che si legge sulle maglie delle squadre in Champions League.
“In 12 anni, 24 allenatori: ma cazo, non sarà mica sempre l’allenatore che deve pagare!”.
Questa la giriamo direttamente a Zamparini. Più quelle società, e non sono poche, che pianificano gli allenatori pensando anche alla tempistica di un capro espiatorio da offrire ai tifosi.
“I tifosi diano una mano alla squadra, anziché contestarla”.
Fischi e contestazioni fanno male a qualsiasi squadra. E mai aiutano i calciatori a giocare meglio. In verità non aiuta nemmeno lo stadio deserto, tipo l’Olimpico di Roma negli ultimi tempi.
“Io sono là 24 ore al giorno, tutti i giorni!”.
Questo vale solo per alcuni allenatori. E comunque, è tutta da verificare che sia positiva la vita in clausura al centro d’allenamento o nella sede del club. Per combattere stress e tensione, meglio gli allenatori che riescono a staccare la spina.
“Cos’è diventato il calcio? Una giungla cazo!”.
Sì. Ma lo è sempre stato. E negli ultimi anni, la situazione non è migliorata. Anzi, adesso i social hanno ampliato e reso più insidiosa quella “giungla”.
“Vi divertite a scrivere, ma cosa ridete? Abbiate rispetto della gente! Con voi (giornalisti) bisogna dire bugie e fare i ruffiani, come con i tifosi. Ma io non lo sono cazo!”.
E qui, nel video, c’è anche la manata più robusta sul tavolo. Perché c’è la rabbia di chi si sente giudicato con superficialità e vorrebbe più profondità di giudizio, se non dai tifosi almeno dai media. E poi ogni allenatore coltiva il sospetto che i complimenti dei giornalisti a un altro allenatore siano suggeriti o influenzati dai rapporti personali. Insomma, i “ruffiani” vengono trattati meglio. E’ un luogo comune, ma c’è un po’ di verità. Un bel po’. Anzi: c’è tanta verità.
“Io guardo tutti in faccia perché vado a lavorare con serietà”.
Ecco, questo si può dire su tutta la categoria degli allenatori. Per conoscenza personale e non solo, almeno ad alto livello, la serietà sul lavoro è garantita. Le capacità si possono discutere. L’impegno, no.
“Tutti ironici e presuntuosi, che ridono e dicono: eccolo, è arrivato il scemo di turno”.
C’è di più oltre a “il scemo”, che fa proprio ridere perché sgorga spontaneo dal dialetto veneto. C’è un po’ di supponenza da parte dei critici. Ma pure la sindrome da accerchiamento che colpisce tutti i personaggi in difficoltà. Quando un allenatore si siede dietro la tavolata da conferenza, dopo una sconfitta, vede di fronte a sé un plotone d’esecuzione e non una decina di giornalisti, la maggior parte innocui, con i minuti contati per andare a scrivere il più in fretta possibile. In verità l’allenatore si sente “il scemo” per conto suo, non per colpa di chi gli sta di fronte.
“Cosa contesta il pubblico: il presidente? Poi, se andrà via, vedremo cosa succede…”.
Qui parla la storia del Panathinaikos, che negli ultimi dieci anni ha vinto solo un titolo. E nella bacheca del calcio greco si è fatto sorpassare dall’Olympiacos, dopo aver cambiato Malesani e anche il presidente di dieci anni fa. Cazo!
Sandro Sabatini (giornalista Mediaset – Premium Sport)
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