Sabatini a CM: 'La lezione di Galliani jr che vale per Allegri ma pure per Inzaghi. Cosa avreste letto se Jovic avesse mirato qualche cm più in qua'
Inzaghi non ha in mano lo spogliatoio, è evidente, basta guardare le reazioni di Dzeko e Çalhanoğlu alle sostituzioni. Che poi, a proposito di sostituzioni: le decide un giorno prima e le fa senza nemmeno guardare la partita. Che sia in forma o che non si regga in piedi, dopo un’ora entra Lukaku. Per fortuna Gagliardini e Correa entrano a far danni quando mancano dieci minuti dalla fine, perchè invece, quando li fa giocare titolari, va sicuramente peggio. E comunque, peggio di Inzaghi nella gestione del portiere, nessuno: si è visto anche all’Olimpico che Handanovic non è reattivo, resta a guardare e i compagni non si fidano più di lui. Ma come si fa a lasciare in panchina Onana per la Coppa Italia? Per fortuna che una volta ha salvato sulla linea Darmian. Che però - chi ha studiato calcio lo sa - è un’incognita in quel ruolo da terzo difensore. Del resto, non l’ha mai fatto in carriera, non può mica iniziare a 33 anni. Ecco, a proposito di 3: ma si rende conto, Inzaghi, che non può fare sempre e solo la difesa a 3? Ma dai, almeno quando mancano dieci minuti alla fine mettiti a 4, no? Infine, chiusura con doppio punto esclamativo: la Fiorentina di Italiano (lui sì che è un allenatore da grande squadra) ha dominato! Do-mi-na-to!
Cari amici di calciomercato.com, avete appena letto quello che avreste letto se Jovic avesse mirato pochi centimetri più in qua o Cabral avesse tirato pochi centimetri più in là. “Questione di centimetri”, si litigava tanti anni fa, quando non esisteva il fuorigioco al Var. Protagonista di quella frase era Dino Viola, storico presidente della Roma, principale antagonista dell'omologo juventino Giampiero Boniperti, noto per il famoso “vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”. Questo slogan appartiene alla storia bianconera, ma in realtà vale per tutti. O per nessuno. Oggi che si ritorce contro juventini e Allegri, può serenamente essere utilizzato da interisti e Inzaghi per spegnere qualsiasi rimostranza fiorentina. Ma “vincere unica cosa che conta” è uno slogan sportivamente sbagliatissimo. Anche umanamente e moralmente sbagliato. Se ne rendano conto tutti: principalmente gli juventini ma anche opinionisti, influencer e tifosi in generale. Nello sport conta il risultato, certo. Non si discute. Ma se vince uno solo, gli altri sono tutti sconfitti. Non perdenti, però. Nemmeno falliti. E i giudizi devono essere calibrati di conseguenza.
Oggi su Simone Inzaghi e la sua Inter non leggerete nulla di quanto avete letto qui all’inizio. Eppure sono tutte cose realmente accadute: lo spogliatoio, la rabbia ai cambi, il portiere, la difesa a 3, il martire Gagliardini e il gioco di Italiano. Viceversa, per gli allenatori reduci da un turno di risultati negativi, sul web troverete critiche violente e senza via di scampo. Tipo: non ci sono alibi… Forse è vero, gli alibi non esistono. Ci sono le spiegazioni che allenatori e/o atleti sconfitti forniscono a chi vuole ascoltarli. Esistono, anzi resistono le spiegazioni che professionisti (con decenni di esperienza e titoli) provano a dire, ad una platea riassunta non dallo slogan “vincere è…” quanto semmai da un proverbio: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Così, capita di imbattersi in un intervento ragionato e ragionevole. Oh, finalmente. Ecco uno che parla con saggezza. Che non cerca l’applauso dei forcaioli. Che non sale sul carro dei vincitori né scende da quello dei perdenti. Chi è che parla? Guardate questo link. È Galliani, però non Adriano, che magari avrebbe imbarazzo a citare (anche) l’allenatore dell’Inter. È suo figlio Gianluca, che ha vissuto da un osservatorio familiarmente privilegiato il calcio attraverso anni di squadre e momenti, vittorie e sconfitte, allenatori e giocatori, campioni e comparse, vittorie e sconfitte. È Gianluca Galliani che parla di Allegri, Ancelotti, Mourinho più Inzaghi. E che pronuncia anche queste parole, testuali: “Sarò l’unico a dirlo, ma non ho paura di dirlo”. Gia: paura. Perchè sui social che hanno invaso il mondo reale, vince chi straparla di zero alibi e disgrazie sportive. E vista la violenza e le minacce dei commenti, c’è paura a prendere una posizione fuori dal coro dei professionisti “so tutto io”.
Questi haters mascherati da professori non sono solo i tifosi che accompagnano gli insulti a inciampi sgrammaticati. Sono anche quelli che scelgono di essere critici per professione e ottima remunerazione. Così aspettano l’indomani di una sconfitta e fanno il pieno di clic. Con Simone Inzaghi è andata male. Avrebbero potuto dire tutto quel che avete letto all’inizio. Ma Inzaghi ha vinto e sono stati zitti. Fino a Istanbul continueranno a stare zitti, aspettando il momento giusto per “surfare” sul facile consenso popolare. Insomma, sono professionisti anche della gufata. E citando un commento di Enrico Mentana su Instagram, “per carità, gufare non è vietato: dà solo un’idea della pasta di cui sono fatte le persone (qualsiasi sia il loro tifo)”.
Cari amici di calciomercato.com, avete appena letto quello che avreste letto se Jovic avesse mirato pochi centimetri più in qua o Cabral avesse tirato pochi centimetri più in là. “Questione di centimetri”, si litigava tanti anni fa, quando non esisteva il fuorigioco al Var. Protagonista di quella frase era Dino Viola, storico presidente della Roma, principale antagonista dell'omologo juventino Giampiero Boniperti, noto per il famoso “vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”. Questo slogan appartiene alla storia bianconera, ma in realtà vale per tutti. O per nessuno. Oggi che si ritorce contro juventini e Allegri, può serenamente essere utilizzato da interisti e Inzaghi per spegnere qualsiasi rimostranza fiorentina. Ma “vincere unica cosa che conta” è uno slogan sportivamente sbagliatissimo. Anche umanamente e moralmente sbagliato. Se ne rendano conto tutti: principalmente gli juventini ma anche opinionisti, influencer e tifosi in generale. Nello sport conta il risultato, certo. Non si discute. Ma se vince uno solo, gli altri sono tutti sconfitti. Non perdenti, però. Nemmeno falliti. E i giudizi devono essere calibrati di conseguenza.
Oggi su Simone Inzaghi e la sua Inter non leggerete nulla di quanto avete letto qui all’inizio. Eppure sono tutte cose realmente accadute: lo spogliatoio, la rabbia ai cambi, il portiere, la difesa a 3, il martire Gagliardini e il gioco di Italiano. Viceversa, per gli allenatori reduci da un turno di risultati negativi, sul web troverete critiche violente e senza via di scampo. Tipo: non ci sono alibi… Forse è vero, gli alibi non esistono. Ci sono le spiegazioni che allenatori e/o atleti sconfitti forniscono a chi vuole ascoltarli. Esistono, anzi resistono le spiegazioni che professionisti (con decenni di esperienza e titoli) provano a dire, ad una platea riassunta non dallo slogan “vincere è…” quanto semmai da un proverbio: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Così, capita di imbattersi in un intervento ragionato e ragionevole. Oh, finalmente. Ecco uno che parla con saggezza. Che non cerca l’applauso dei forcaioli. Che non sale sul carro dei vincitori né scende da quello dei perdenti. Chi è che parla? Guardate questo link. È Galliani, però non Adriano, che magari avrebbe imbarazzo a citare (anche) l’allenatore dell’Inter. È suo figlio Gianluca, che ha vissuto da un osservatorio familiarmente privilegiato il calcio attraverso anni di squadre e momenti, vittorie e sconfitte, allenatori e giocatori, campioni e comparse, vittorie e sconfitte. È Gianluca Galliani che parla di Allegri, Ancelotti, Mourinho più Inzaghi. E che pronuncia anche queste parole, testuali: “Sarò l’unico a dirlo, ma non ho paura di dirlo”. Gia: paura. Perchè sui social che hanno invaso il mondo reale, vince chi straparla di zero alibi e disgrazie sportive. E vista la violenza e le minacce dei commenti, c’è paura a prendere una posizione fuori dal coro dei professionisti “so tutto io”.
Questi haters mascherati da professori non sono solo i tifosi che accompagnano gli insulti a inciampi sgrammaticati. Sono anche quelli che scelgono di essere critici per professione e ottima remunerazione. Così aspettano l’indomani di una sconfitta e fanno il pieno di clic. Con Simone Inzaghi è andata male. Avrebbero potuto dire tutto quel che avete letto all’inizio. Ma Inzaghi ha vinto e sono stati zitti. Fino a Istanbul continueranno a stare zitti, aspettando il momento giusto per “surfare” sul facile consenso popolare. Insomma, sono professionisti anche della gufata. E citando un commento di Enrico Mentana su Instagram, “per carità, gufare non è vietato: dà solo un’idea della pasta di cui sono fatte le persone (qualsiasi sia il loro tifo)”.