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    Roy Keane, il diavolo rosso

    Roy Keane, il diavolo rosso

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    «Quando arrivò da noi al Nottingham Forest parlava pochissimo e sorrideva ancora meno. Ma appena s’infilava gli scarpini da calcio diventava un’altra persona.

    In campo comandava lui.

    Anche se aveva solo diciannove anni.

    Anche se non aveva ancora giocato in prima squadra.

    Con lui in campo non c’era nessuno che potesse stare tranquillo.

    Nemmeno nelle partitelle di riscaldamento.

    Lui correva, lottava e picchiava come fosse una finale di FA CUP!

    Qualcuno andò addirittura da Brian Clough a lamentarsi di quel giovanotto irlandese un po’ troppo esuberante.

    “Se tutti voi aveste la sua voglia di vincere torneremmo ad essere campioni d’Europa come qualche anno fa!” era la risposta più gentile del Manager del Forest.

    Non ci volle molto per capire che “Keano” sarebbe arrivato al top.

    Con un altro paio di “teste” come la sua non saremmo certo retrocessi in quell’ultima, maledetta stagione con Brian Clough in panchina.

    Era quasi divertente quando c’era da fare la formazione e c’era qualche titolare infortunato.

    Se mancava un centrocampista esterno per squalifica o infortunio Clough chiedeva a quelli del suo staff “Chi è il giocatore in questo club che corre di più e che sa meglio inserirsi senza palla?”

    La risposta era unanime.

    “Roy Keane boss”

    Stessa cosa quando mancava un difensore centrale.

    “Chi è il giocatore in questo club più bravo nel gioco aereo?”

    Sempre lui.

    Roy Keane.

    In quella maledetta stagione, la prima della “Premier”, fece anche sei gol che non sono niente male per un centrocampista che pensava più a sradicare palloni agli avversari e appoggiarli ai nostri attaccanti.

    Uno così non poteva certo restare con noi nella serie cadetta del calcio inglese.

    Per lui si fece avanti il Manchester United.

    Alex Ferguson, che finalmente aveva portato i suoi “Diavoli Rossi” sul tetto d’Inghilterra aveva bisogno di lui, di un “diavolo vero”.

    Roy Keane se ne andò all’Old Trafford e come dicono quelli bravi “il resto è storia”.

    L’inizio della carriera di Roy Keane è tutt’altro che in discesa.

    Nonostante in Irlanda tutti conoscano le sue doti Keane viene considerato quasi sempre “troppo piccolo e gracile” per giocare a livelli importanti.

    E mentre tanti suoi coetanei vengono reclutati da diversi club inglesi e scozzesi per lui ci sono solo i semi-professionisti dei Cobh Ramblers.

    Keane non si dà per vinto e scrive praticamente a tutti i maggiori club britannici chiedendo la possibilità di fare un provino “offrendo anche di pagarmi parte delle spese ... con soldi che non avevo!” ricorda “Keano” di quel periodo.

    Roy Keane inizia anche a lavorare giocando part-time con i Ramblers.

    Ma non molla. Sa che ha le qualità per giocare a calcio da professionista.

    Finalmente arriva una risposta.

    E’ del Nottingham Forest.

    “Figliolo, se sei abbastanza bravo lo scopriremo da soli, non c’è bisogno che tu venga fin qua” è la risposta del club diretto dal grande Brian Clough.

    Ed è esattamente così che accade.

    Durante una partita di Coppa d’Irlanda juniores in tribuna c’è lo scout del Forest, Noel McCabe. La prestazione di Keane è tale che McCabe gli organizza un provino al Nottingham Forest.

    Quando arriva al City Ground ad assistere al provino c’è addirittura lui, Brian Clough, il manager che aveva saputo portare il “piccolo” Nottingham Forest sul tetto d’Europa.

    «Dovevo decidere se farmela sotto per la presenza inattesa di Clough o dare il 110% pensando che forse un’occasione così non mi sarebbe mai più capitata” ricorda Keane di quel giorno.

    “Scelsi la seconda”.

    Brian Clough non ha un dubbio al mondo.

    Il ragazzo diventerà un nuovo giocatore del Forest.

    E così, a diciannove anni, Keane firmerà il suo primo contratto da professionista.

    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Innanzitutto occorre immediatamente mettere in chiaro una cosa: Roy Keane NON mise fine alla carriera di Alf Inge Håland.

    E’ una delle storie più raccontate e altrettanto false che girano da anni in rete.

    “Alfie” Håland, padre di Erling, il bomber del Manchester City, dopo la comunque tremenda e violenta entrata a gamba tesa del capitano del Manchester United non solo finì l’incontro ma quattro giorni dopo giocò con la sua nazionale (la Norvegia) un incontro internazionale contro la Bulgaria.

    Alf Inge Håland si ritirò dal calcio quasi due anni dopo quello scontro.

    Non solo.

    Si disse che Keane avesse aspettato quattro anni da quando fu lui ad infortunarsi gravemente ad un ginocchio con Håland che gli urlò di “smettere di fare scenate”.

    Falso pure questo.

    I due ebbero modo di incrociare i tacchetti in altre due occasioni ... ma senza che accadesse nulla di particolare.

    Sul fatto che comunque Roy Keane avesse un carattere piuttosto ... focoso (eufemismo clamoroso!) ci sono ben pochi dubbi.

    Memorabile rimase la scazzottata tra lo stesso Keane e Peter Schmeichel, portiere e compagno di squadra al Manchester United, durante un tour nell’est asiatico nell’estate del 1998.

    Tra i due non c’era mai stato amore.

    Gli atteggiamenti in campo di Schmeichel che urlava e rimproverava continuamente i compagni non erano mai stati troppo apprezzati da uno come Keane, che di parole, al contrario, era decisamente parco.

    Sono le due di notte.

    Keane è appena rientrato in albergo dopo un giro nei migliori pub di Hong Kong insieme a Nicky Butt.

    Alla reception incontrano Schmeichel.

    Si scambiano qualche frecciatina, tra i due vola qualche parola pesante ma sembra finita lì.

    Pochi minuti dopo invece il gigantesco portiere danese si presenta alla porta della camera di Keane.

    “Mi hai stancato irlandese. E’ arrivato il momento di sistemare le cose”.

    “Nessun problema” risponde Keane.

    Sono dieci minuti di pugni, schiaffi e botte con Nicky Butt che anziché tentare di dividerli (impresa comunque inutile) funge da arbitro dell’incontro.

    Alla mattina la squadra deve spostarsi in aereo.

    «Avevo una mano gonfia come un pallone» racconterà Keane che aggiunge «Schmeichel invece portava due grossi occhiali neri che non si è mai tolto per tutto il viaggio ... anche se vi garantisco che quel giorno di sole non ce n’era granché ...»

    Proprio le parole di Brian Clough appena arrivato al Nottingham Forest saranno fonte di ispirazione per tutta la carriera del centrocampista irlandese.

    «Conquista la palla, passala ad un tuo compagno di squadra e poi smarcati per riceverla di nuovo» fu l’istruzione del manager di “Garibaldi Reds”.

    «Il calcio in fondo è un gioco semplice. E su questo consiglio, apparentemente semplice, ho costruito tutta la mia carriera» ha sempre ammesso Roy Keane.

    Con Brian Clough, altro carattere decisamente focoso e determinato, gli scontri sono stati tanti e qualcuno anche violento ... e non solo verbalmente.

    In una partita di FA CUP il Nottingham Forest concesse il pareggio al Crystal Palace grazie ad un errore di Roy Keane che aveva sbagliato la misura di un retropassaggio al portiere.

    Clough, che odiava letteralmente i passaggi all’indietro e quelli orizzontali nella propria metà campo, al termine della partita andò su tutte le furie con il suo giovane centrocampista irlandese ... a tal punto da colpirlo con un cazzotto in pieno stomaco.

    Keane, che da ragazzino per diversi anni aveva praticato la boxe, non solo incassò senza fiatare il colpo ma anche a distanza di anni ha sempre affermato che «Clough fece bene a colpirmi. Aveva tutte le ragioni del mondo. Avevo disubbidito ad una delle sue regole principali e ho sempre pensato che chi non rispetta le regole deve essere pronto a pagarne le conseguenze».

    Uno dei consigli che dava Clough ai propri calciatori era quello di “metter su famiglia” il prima possibile per trovare, affermava il manager del Nottingham Forest, “quella serenità necessaria per rendere al meglio in campo”.

    Il problema è che al tempo stesso c’erano regole ferree sulla disciplina imposta ai propri calciatori come orari di autentico coprifuoco da rispettare e locali da evitare.

    Un bel giorno “Keano” decide di affrontare Clough sull’argomento.

    «Boss, io vorrei tanto seguire il suo consiglio. Sposarmi e starmene in casa tranquillo con mia moglie ... ma se lei non mi permette di uscire di casa la sera o di andare nei locali mi spiega come cazzo faccio a conoscerla la mia futura moglie?!?!»

    La fine della sua storia al Manchester United non è stata certo quella che Roy Keane si sarebbe aspettato e avrebbe meritato dopo oltre dodici anni al servizio del Club dell’Old Trafford e di Sir Alex Ferguson.

    Incomprensioni, piccole diatribe mai risolte, qualche presa di posizione orgogliosa da parte di entrambi ... fatto sta che Roy Keane se n’è andato dal Manchester United dalla porta posteriore, in un freddo giorno di novembre senza il dovuto riconoscimento dopo una carriera dove davvero Roy Keane ha dato tutto sé stesso per il Club.

    Lo stesso Keane ama raccontare un episodio nel quale si era trovato in totale disaccordo con il suo Manager.

    Durante la semifinale di Champions League contro la Juventus dell’aprile del 1999 Roy Keane gioca una partita sontuosa, non solo guidando i suoi in una rimonta che sembrava impossibile dopo una dozzina di minuti di gioco, ma segnando lui stesso il gol dell’uno a due che diede il “la” all’impresa dei Red Devils.

    Prima della fine del primo tempo però Roy Keane, per un’entrata in ritardo su Zinedine Zidane, viene sanzionato con il cartellino giallo.

    Per lui vuol dire dover saltare la finalissima.

    La cosa non scuote minimamente Keane che anzi raddoppia se possibile gli sforzi guidando i suoi al tre a due finale.

    Proprio questo atteggiamento viene particolarmente apprezzato dal suo manager che a fine partita sottolineerà più volte la “dedizione”, lo “spirito” e le doti di “leader” di Roy Keane, per niente ferito o distratto da quella spiacevole ammonizione.

    «Tutte cazzate» fu la risposta di Keane.

    «Anzi, trovo quasi offensive le parole di Ferguson. Cosa avrei dovuto fare? Mettermi a piangere? Smettere di correre e di lottare? No. Io sono pagato per aiutare il Manchester United a vincere le partita. Questo è il mio dovere» aggiungendo poi alla sua maniera «adesso cosa ci mettiamo a fare i complimenti al postino ogni volta che ci consegna una lettera!?!?»

    La pagina più controversa della carriera di Roy Keane fu l’abbandono (o l’esclusione, a seconda di chi racconta la storia) della sua Nazionale durante i Mondiali di Sud Corea e Giappone del 2002.

    Insoddisfatto per il livello di organizzazione della Federazione Irlandese (ritardo nell’arrivo dei materiali per l’allenamento, terreno per la preparazione che “sembra un campo di patate” e la gestione degli allenamenti da parte dell’allenatore Mick McCarthy) fanno infuriare Keane che decide di tornare in Irlanda.

    Ne viene fuori una “querelle” con continui colpi di scena che coinvolgono tutta la squadra, media irlandesi e opinione pubblica.

    Si viene a sapere che poco prima del ritorno di Keane in Irlanda viene organizzato un incontro voluto da Mick McCarthy con lo stesso Keane, di fronte a tutto lo staff e agli altri calciatori dell’Eire.

    Incontro che, dopo la frase iniziale di Keane diretta a McCarthy (“Mick sei un bugiardo. Sei un fottuto segaiolo. Non avevo stima di te come calciatore, non ho stima di te come allenatore e non ho stima di te come persona”) finisce nel giro di pochi secondi.

    Keane, quei Mondiali, li guarderà dalla sua casa a Cork mentre i suoi compagni si faranno onore superando il primo turno ed uscendo agli ottavi con la Spagna e solo ai calci di rigore.

    Infine, una frase condivisa da praticamente tutti gli ex-compagni di squadra di Roy Keane, al Manchester United, al Nottingham Forest o nella Nazionale d’Irlanda.

    “Non ho mai visto un calciatore così determinato e vincente. Nella mia squadra ideale Roy Keane sarebbe il primo nome della lista”.

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