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    Romamania: Rassegnati ad inchinarsi a chiunque, non ci crede nessuno. Mou non è Harry Potter e non ha più idee

    Romamania: Rassegnati ad inchinarsi a chiunque, non ci crede nessuno. Mou non è Harry Potter e non ha più idee

    • Alessandro Austini
    Dieci minuti. Tanto è durata la speranza della Roma di non soccombere un’altra volta a San Siro. Il primo gol milanista di Adli ha spento subito ogni illusione, dopo una partenza diversa dal solito. Perché vedere la Roma entrare in area avversaria è diventato un evento di questi tempi e fin lì lo aveva fatto addirittura due volte.

    Dieci minuti sono bastati di nuovo al Milan per chiudere la partita a inizio secondo tempo con Giroud. A riaprirla momentaneamente nel finale sono state più le insicurezze tipiche dei rossoneri quest’anno (il fallo da rigore di Calabria è un regalo concesso agli avversari), piuttosto che una vera e propria reazione della Roma. Basta osservare il linguaggio del corpo dei giocatori per capire quanto poco ci credano tutti, giovani e presunti senatori. Una sfiducia che ha contagiato anche Lukaku e se il migliore continua a essere da settimane Bove significa che parecchie cose non funzionano.

    Il gol di Theo Hernandez ha messo il sigillo su un risultato che sulla sponda giallorossa della Capitale si aspettavano praticamente tutti. A cominciare dal Mourinho disfattista della vigilia e costretto a seguire la partita infreddolito in tribuna a causa dell’ennesima squalifica. Lui che d’altronde non è Harry Potter e quindi non può inventarsi magie se manca Dybala. 

    Si perde e basta, come se fosse un destino scritto. E ormai per la Roma non fa più notizia. In primis al suo interno. La squadra non combatte, non gioca, non ci prova nemmeno. Si è rassegnata a doversi inchinare a qualsiasi avversario che la precede in classifica e poco importa se in diversi casi si tratti di rivali a loro volta in difficoltà. Di sovvertire un pronostico, poi, ormai non se ne parla nemmeno più, come se fosse vietato avere uno slancio.

    Mourinho non sembra avere più idee e stimoli per cambiare la rotta. Insiste sullo stesso modulo anche mancandogli mezza difesa e quando inserisce Pellegrini per Mancini preferisce di nuovo arretrare Cristante. Non c’è alcuna prova che cambierebbe qualcosa, ma perché non tentare qualcosa di nuovo? Anche questo, in fondo, è un segnale di resa.

    La Roma ha raccolto due punti sui 21 disponibili nelle sfide giocate finora contro le prime sei del campionato, cinque i gol segnati - di cui due su rigore - nelle ultime sette partite tra campionato e Coppa Italia e un nono posto in classifica che assume un valore simbolico importante. I timori che c’erano sul ciclo di scontri diretti si sono rivelati fondatissimi: da Bologna a San Siro, sono arrivati una vittoria, due pareggi, due sconfitte e in mezzo c’è stato l’amarissimo derby di coppa. Il Milan che a un certo punto sembra raggiungibile ora è a +13, la zona Champions si allontana inesorabilmente perché ci sono troppe squadre davanti.

    Adesso altri sei giorni di dibattito alla ricerca di un colpevole, ma le responsabilità sono evidentemente da distribuire fra tutti, poi arriverà un momento importante: la partita in casa contro il Verona sarà anche una verifica sull’umore “ambientale”. Da Budapest in poi i romanisti hanno davvero gioito tre volte: per l’arrivo di Lukaku ad agosto, per una vittoria con due gol segnati nel recupero contro il Lecce e per il recente successo col Napoli. Meriterebbero decisamente di più.

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