Roma: né stadio né trofei, dopo 6 anni il progetto di Pallotta non decolla
Due torri in meno di qua, un ponte in meno di là, niente allungamento per la metro B. A sentirla cosi, sembrerebbe che si stia parlando di urbanistica... E in effetti è cosi, solo che si sta parlando di urbanistica romana e romanista, anzi forse solo e soprattutto la seconda. Infatti tiene banco in queste ore il discorso sul nuovo stadio della Roma, un'opera faraonica di cui si favoleggia ormai da anni, ma della quale in realtà non si sa quando – e se – verrà mai posta la prima pietra.
Ne sono ormai passati 6 dalla stagione 2010/2011, quella alla fine della quale ci fu lo storico passaggio dalla famiglia Sensi alla nuova proprietà degli americani. In principio fu DiBenedetto, ma ben presto divenne Pallotta e il Verbo dei nuovi padroni fu sin da subito uno e solo uno: quello del Progetto Quinquennale. Un piano che prevedeva un trofeo (lo scudetto) nell'arco di 5 anni, la costruzione dello stadio (o quanto meno la partenza dei lavori) e soprattutto una Roma che avrebbe dovuto competere non solo per il primo posto in Italia ma anche per i primi posti in Europa. A ritornare con la mente in quel periodo, certe dichiarazioni di intenti facevano sognare letteralmente la piazza giallorossa, tanto che i romanisti sognavano di competere più con il Real e il Barcellona che con la Juventus, che tra l'altro in quell'anno era ancora nel pieno della crisi post-Calciopoli.
Nei precedenti quattro anni di dominio interista, la Roma era arrivata per ben tre volte seconda e nel 2010 a soli 2 punti dallo scudetto. Insomma, il futuro sembrava radioso e tutto lasciava presagire che finalmente sarebbe arrivato il meritato trionfo. Purtroppo però questo non è avvenuto, la Roma ha continuato ad arrivare seconda, l'unico stadio ad essere stato costruito è stato quello della Juve e quanto alla competitività sul piano finanziario le cose sono rimaste come allora, anzi, forse sono anche peggiorate visto che almeno ai tempi della famiglia Sensi i campioni non venivano venduti in tale quantità (Marquinhos, Lamela, Benatia, Pjanic) e cosi tanto spesso. Forse non è ancora il caso di tirare le somme nei confronti di un club che in questo momento è secondo in classifica e sta giocando anche bene, ma alcune cose vanno dette senza troppi giri di parole: Pallotta in tutti questi anni a Roma si sarà visto meno di 30 volte (a voler essere generosi) e questo è un elemento che può passare inosservato solo agli occhi di chi è ipocrita o in malafede, ma a casa di chi ci vede e parla senza peli sulla lingua, si chiama semplicemente mancanza di passione vera.
Di questa mancanza di passione se ne accorse fin da subito la parte più accesa e verace del tifo romanista, con la quale del resto Pallotta non è mai andato particolarmente d'accordo. Come dimenticare in tal senso quel "fucking idiots" che fece alquanto rumore... Pallotta è stato soprattutto un presidente che ha guardato alle cose più concrete e lui, da maestro di fondi di investimento qual è, si è dedicato soprattutto alla parte commerciale e alla valorizzazione del brand. In tal senso, l'accordo commerciale con la Disney e il restyling del logo sono state due mosse fondamentali per provare a fare breccia nel mercato statunitense.
Poi c'è appunto lo stadio, ed è qui che ruota tutto il discorso legato alla sua proprietà, perché giustamente Pallotta ha puntato tutto, o quasi, sulla realizzazione di questo asset strategico, solo che lo ha fatto in un modo che di americano ha solo i grattacieli. Tre enormi torri che mal si adattano al paesaggio di Roma, piantate a casaccio nel quadrante sud-ovest della capitale, in una zona che già oggi naufraga letteralmente nel traffico dei pendolari. Tre torri che hanno tanto l'aria di essere il vero baricentro di tutto il progetto, tanto da mettere in secondo piano persino lo stadio, visto che in questi giorni sono state l'oggetto del contendere sul quale più di ogni altra cosa si è discusso. Quindi per una volta tanto possiamo scagionare la burocrazia italiana, che troppo spesso mette i bastoni nelle ruote su tutto, ma questa volta ha tutte le ragioni di farlo...
Infine, arriviamo alla parte sportiva, dove dobbiamo ammettere che è stato audace e anche dotato di santa pazienza visto che i vari Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli e Garcia, le loro chance se le sono giocate fino in fondo come del resto Spalletti si sta giocando le sue adesso, solo che di trofei non ne è arrivato neanche uno ed è tutto qui – forse – il principale vulnus della questione. Perché la narrazione più semplice e consolatoria tende a giustificare il tutto con la presenza di questa Juve schiacciasassi, ma questa Juve era ridotta molto peggio della Roma, quando arrivarono gli americani.
In conclusione: non è ancora arrivato il momento di dare un giudizio definitivo sulla Roma con la targa a stelle e strisce, però una bella tiratina d'orecchi ci può stare, perché da ora in avanti ci vorrà più disciplina – come disse Zeman quando fu esonerato – ma soprattutto tanta, tanta, ma proprio tanta leadership in più, e quella ce la può mettere solo lei caro presidente Pallotta... ma ne ha voglia?
@Dragomironero
Ne sono ormai passati 6 dalla stagione 2010/2011, quella alla fine della quale ci fu lo storico passaggio dalla famiglia Sensi alla nuova proprietà degli americani. In principio fu DiBenedetto, ma ben presto divenne Pallotta e il Verbo dei nuovi padroni fu sin da subito uno e solo uno: quello del Progetto Quinquennale. Un piano che prevedeva un trofeo (lo scudetto) nell'arco di 5 anni, la costruzione dello stadio (o quanto meno la partenza dei lavori) e soprattutto una Roma che avrebbe dovuto competere non solo per il primo posto in Italia ma anche per i primi posti in Europa. A ritornare con la mente in quel periodo, certe dichiarazioni di intenti facevano sognare letteralmente la piazza giallorossa, tanto che i romanisti sognavano di competere più con il Real e il Barcellona che con la Juventus, che tra l'altro in quell'anno era ancora nel pieno della crisi post-Calciopoli.
Nei precedenti quattro anni di dominio interista, la Roma era arrivata per ben tre volte seconda e nel 2010 a soli 2 punti dallo scudetto. Insomma, il futuro sembrava radioso e tutto lasciava presagire che finalmente sarebbe arrivato il meritato trionfo. Purtroppo però questo non è avvenuto, la Roma ha continuato ad arrivare seconda, l'unico stadio ad essere stato costruito è stato quello della Juve e quanto alla competitività sul piano finanziario le cose sono rimaste come allora, anzi, forse sono anche peggiorate visto che almeno ai tempi della famiglia Sensi i campioni non venivano venduti in tale quantità (Marquinhos, Lamela, Benatia, Pjanic) e cosi tanto spesso. Forse non è ancora il caso di tirare le somme nei confronti di un club che in questo momento è secondo in classifica e sta giocando anche bene, ma alcune cose vanno dette senza troppi giri di parole: Pallotta in tutti questi anni a Roma si sarà visto meno di 30 volte (a voler essere generosi) e questo è un elemento che può passare inosservato solo agli occhi di chi è ipocrita o in malafede, ma a casa di chi ci vede e parla senza peli sulla lingua, si chiama semplicemente mancanza di passione vera.
Di questa mancanza di passione se ne accorse fin da subito la parte più accesa e verace del tifo romanista, con la quale del resto Pallotta non è mai andato particolarmente d'accordo. Come dimenticare in tal senso quel "fucking idiots" che fece alquanto rumore... Pallotta è stato soprattutto un presidente che ha guardato alle cose più concrete e lui, da maestro di fondi di investimento qual è, si è dedicato soprattutto alla parte commerciale e alla valorizzazione del brand. In tal senso, l'accordo commerciale con la Disney e il restyling del logo sono state due mosse fondamentali per provare a fare breccia nel mercato statunitense.
Poi c'è appunto lo stadio, ed è qui che ruota tutto il discorso legato alla sua proprietà, perché giustamente Pallotta ha puntato tutto, o quasi, sulla realizzazione di questo asset strategico, solo che lo ha fatto in un modo che di americano ha solo i grattacieli. Tre enormi torri che mal si adattano al paesaggio di Roma, piantate a casaccio nel quadrante sud-ovest della capitale, in una zona che già oggi naufraga letteralmente nel traffico dei pendolari. Tre torri che hanno tanto l'aria di essere il vero baricentro di tutto il progetto, tanto da mettere in secondo piano persino lo stadio, visto che in questi giorni sono state l'oggetto del contendere sul quale più di ogni altra cosa si è discusso. Quindi per una volta tanto possiamo scagionare la burocrazia italiana, che troppo spesso mette i bastoni nelle ruote su tutto, ma questa volta ha tutte le ragioni di farlo...
Infine, arriviamo alla parte sportiva, dove dobbiamo ammettere che è stato audace e anche dotato di santa pazienza visto che i vari Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli e Garcia, le loro chance se le sono giocate fino in fondo come del resto Spalletti si sta giocando le sue adesso, solo che di trofei non ne è arrivato neanche uno ed è tutto qui – forse – il principale vulnus della questione. Perché la narrazione più semplice e consolatoria tende a giustificare il tutto con la presenza di questa Juve schiacciasassi, ma questa Juve era ridotta molto peggio della Roma, quando arrivarono gli americani.
In conclusione: non è ancora arrivato il momento di dare un giudizio definitivo sulla Roma con la targa a stelle e strisce, però una bella tiratina d'orecchi ci può stare, perché da ora in avanti ci vorrà più disciplina – come disse Zeman quando fu esonerato – ma soprattutto tanta, tanta, ma proprio tanta leadership in più, e quella ce la può mettere solo lei caro presidente Pallotta... ma ne ha voglia?
@Dragomironero