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Raiola: 'La Juventus vince grazie a Calciopoli, potrei comprare la Roma'
Raiola, che effetto le fa aver concluso operazioni e trasferimenti nel calcio per oltre 300 milioni?
"Nessun effetto e certo non credo di essere speciale. Io mi sento solo Mino. Sono felice se vengo apprezzato dalla mia famiglia e dai miei giocatori. La mia immagine pubblica non mi interessa perché nel mondo c’è sempre chi ti ama e chi ti odia per quello che dici o che fai. I miei punti di riferimento sono i miei familiari e i miei calciatori che tratto come figli. Loro lo apprezzano".
E’ questa la filosofia che l’ha portata a diventare il re del mercato?
"Non sono al mondo per piacere agli altri, ma per fare quello che è giusto. Io sono al servizio dei miei giocatori ai quali do tutto, il 150% di me stesso. Sono fiero di me quando faccio il loro bene. E non mi interessa né dei sacrifici che devo compiere, né dei soldi. Quelli non contano. Per me è importante la qualità del lavoro e i risultati che si raggiungono".
Lei è l’uomo dei trasferimenti record e adesso ne sta preparando un altro con Pogba allo United. "A me delle operazioni da record non frega niente. I giornali scrivono che Pogba può stabilire il record, ma io i record li ho già fatti con Ibrahimovic e Nedved. Io voglio il meglio per i miei calciatori e quindi anche per Pogba".
La Juventus ha fatto filtrare che è stato Paul a volersene andare.
"Non rispondo a nessuno e non parlo dei miei affari. Di certe cose discuto solo con i miei assistiti e loro sanno sempre come stanno le cose".
Se Pogba è il re del mercato, Balotelli è decisamente meno richiesto. Cosa spera per Mario? "Nella vita non è mai troppo tardi. Se pensate che Mario mi faccia disperare, vi sbagliate perché la sua vita è migliorata parecchio e adesso deve solo avere l’occasione giusta. Certo, ha bisogno anche di un po’ di fortuna che nelle ultime stagioni non ha avuto, ma vi assicuro che è una grande persona, un ragazzo con un grande cuore. Sta pagando per cose sue o non sue".
Lo rivedremo la prossima stagione in Serie A, resterà in Premier o andrà in Cina?
"Non dico niente. Vediamo quello che succede. Io non chiudo la porta di fronte a nessuna soluzione. Per Mario e per tutti i miei calciatori. Ascolto quello che mi viene proposto e poi decido con loro".
E’ questa “formula” di lavoro che l’ha portata ad essere considerato un punto di riferimento per molti colleghi?
"Non so se sono un punto di riferimento per gli agenti. Mi basta esserlo per i miei giocatori. Se poi lo sono anche per altra gente, bene. Spero che la mia storia insegni che si può diventare quello che si vuole. Che nella vita non è giusto porsi limiti o accontentarsi. E’ bello sognare e poi rincorrere i propri sogni. Al tempo stesso però bisogna ricordarsi che senza sacrifici non si ottiene niente. Nessuno è nato sapendo tutto. Per diventare il miglior giocatore al mondo, il miglior industriale o il miglior ristoratore ci vuole fortuna, ma soprattutto sono necessari la voglia di imparare, la capacità di rialzarsi quando si cade, la predisposizione ad aprirsi al mondo. Gli italiani devono iniziare a guardare oltre i loro confini. Il mondo non è l’Italia".
Se la chiamano 'pizzaiolo', come ha fatto qualche anno fa Mihajlovic, come reagisce?
"Pizzaiolo non è mica una parola dispregiativa o un’offesa. Ho lavorato nel ristorante di mio padre Mario ed è stata questa esperienza che mi ha fatto diventare la persona che sono oggi. Io non dimentico da dove sono venuto e non rinnego il lavoro onesto che ho svolto. Anzi, ne sono fiero. A fare il cameriere e a servire ai tavoli si imparano tante cose, prima di tutto il rispetto delle persone. Il cameriere tratta tutti allo stesso modo, dal più potente imprenditore all’operaio. Mi hanno insegnato a non giudicare nessuno e ad ascoltare tutti. Il ristorante è stato la mia università. Anche se io l’università l’ho frequentata...".
Che facoltà?
"Ho studiato giurisprudenza ad Amsterdam. Sono arrivato a pochi esami dalla fine, ma poi ho dovuto mollare perché a vent’anni avevo già creato la mia prima società: si chiamava Intermezzo e si occupava di intermediazioni e consulenze non in ambito calcistico. I miei clienti erano le aziende italiane e olandesi che avevano problemi nello sviluppare i loro affari. Io dovevo mettere le cose a posto".
Già allora aveva talento negli affari.
"Ho imparato tanto da mio padre. Lui è un perfezionista: mi ha insegnato come organizzare per bene le cose, mi ha spiegato che è fondamentale andare fino in fondo quando inizi un lavoro, che non bisogna porsi limiti. Ho frequentato il ristorante di famiglia ad Haarlem da quando avevo 11 anni perché volevo stare con lui e i miei zii. Però ho anche studiato: prima il liceo classico, poi l’università. Non stavo mai fermo... Mio padre faceva tutto il possibile per rendermi felice, ma sulle regole del lavoro nessuna deroga: alle 6 del mattino in casa mia suonava la sveglia per organizzare la terrazza del ristorante. Potevo andare a letto anche alle 5, ma per le 6 dovevo essere in piedi. Adesso mio padre ha 87 anni e non gestisce più i ristoranti che abbiamo. Ci pensano alcuni miei familiari, ma lui per me è sempre un punto di riferimento".
Lei è diventato un procuratore che non si pone limiti negli affari. E’ vero che ha pensato e pensa tuttora di acquistare la Roma?
"Se la Roma fosse sul mercato, insieme a un gruppo di investitori, potrei comprarla perché sarebbe un progetto interessante. Gli americani per il club giallorosso hanno fatto poco e non credo nel loro progetto. Esattamente come non credevo nel progetto dell’Inter".
Andiamo con ordine e partiamo dalla Roma. Cosa non va?
"Per ora ho sentito parlare di un progetto per la costruzione dello stadio, ma non ho visto investimenti come quelli che hanno fatto al Psg o al City. Gli americani hanno speso 300-400 milioni? Non mi sembra... Ho visto acquistare giocatori, ma anche rivenderli. La Roma ha un direttore sportivo (Sabatini, ndr) bravo a scovare i talenti, ma se prima costruisci e poi smonti tutto, come fai a crescere?".
Passiamo all’Inter.
"Finora l’Inter non aveva un progetto e secondo me c’è stata solo... attesa. Attesa che arrivasse qualcuno per comprare il club. Anche in questo caso niente investimenti, ma gestione della società. Adesso ci sono i cinesi che hanno soldi, ma devono avere anche un progetto tecnico e delle idee. Google è stata un’invenzione e non è mica costata miliardi... I soldi da soli non bastano per far bene".
La Cina si è presa l’Inter e tra poco anche il Milan. Favorevole alla globalizzazione della Serie A? "Non è questione di essere favorevoli o contrari. L’Italia è un Paese... fermo, che non guarda quello di buono che fanno gli altri, cercando magari di copiarlo. E così gli altri ci hanno mangiato il pane in casa nostra. Ora sta succedendo anche nel calcio con i cinesi. L’Italia deve cambiare. Idem la Serie A".
Qual è il modello da seguire?
"Il calcio è lo specchio della società e della politica. Per tornare competitivi ci vuole una rivoluzione. Non è possibile che non si possano costruire stadi per i tifosi, che non si riesca a rendere sicuri gli impianti e a sconfiggere i violenti. E poi i giovani: bisogna farli crescere bene, dar loro delle opportunità e avere il coraggio di valorizzarli. In Germania lo hanno fatto e adesso quello tedesco è il campionato più giovane d’Europa. Questo risultato, però, lo hanno raggiunto insegnando calcio ai bambini, con allenatori preparati. L’Inghilterra sta facendo gli stessi errori dell’Italia: lì puntano tutto sui diritti tv e poco sui giovani. Per ora hanno i soldi e l’impresa del Leicester è stata bella: dà speranza e fa capire che non solo le grandi possono vincere".
Tra le squadre italiane solo la Juventus può competere in Europa. D’accordo?
"La Juve vince perché ha avuto la fortuna-sfortuna di andare in Serie B. Ha ricostruito la sua struttura, si è dotata di uno stadio di proprietà e ha iniziato a investire sul mercato nazionale e internazionale. Altre 4-5 società italiane invece non lo hanno fatto: prendevano i soldi dalle tv e non costruivano niente. Adesso raccolgono i frutti... Nel calcio bisogna cambiare quando sei forte, altrimenti è tutto più complicato".
Non crede che qualcosa si stia muovendo, sia in Italia che all’estero? "Cosa? Prendete la Fifa: è andato via Blatter e cosa è successo? Niente. E’ stato solo sostituito uno con un altro. Bisogna cambiare il sistema".