Milan, quando Rocco scelse Rivera al posto di Greaves, che aveva preso a calci un gatto...
IN TRATTORIA - Raccontare, seppur sommariamente, Nereo Rocco vuol dire anche raccontare un’Italia che non c’è più. Un calcio che non c’è più. Anzi, forse raccontare Rocco ci aiuta a raccontare un calcio italiano che oggi è mutato talmente tanto da far quasi dubitare che sia davvero esistito. Tanti gli aneddoti legati a Rocco e alla trattoria Cavalca, il suo ufficio negli anni ruggenti della sua avventura alla guida del Padova. Sì perché è in questo ristorante dove si mangia e si beve bene che Nereo Rocco, tra una partita a carte e qualche bicchiere di buon vino, elabora le strategie da adottare per rendere sempre più inespugnabile il fortino dell’Appiani. In quegli anni anche per gli “squadroni” andare a giocare a Padova era compito tutt’altro che facile e portar via qualche punto non era affatto scontato e spesso impossibile. Padova è una tappa fondamentale nella tessitura della leggenda del Paròn, sei anni al desco con i più ricchi senza mai sfigurare, mai sotto l’undicesimo posto, ma con un terzo posto nel 1957/58 dal valore inestimabile. Per il Padova e per il calcio provinciale. Però prima di Padova Rocco riesce in un altro piccolo, grande miracolo calcistico. A Trieste, sulla panchina della “sua” Triestina Rocco raggiunge nel 1947/48 il secondo posto dietro solo al Grande Torino, giocando con il libero dietro. Verrà chiamato “mezzo sistema”, ma anche in tanti altri modi. In realtà, come afferma Alfio Caruso nel suo Un secolo Azzurro, il gioco di Rocco è sì improntato alla cautela, ma non rinuncerà mai a cercare lo spettacolo. A Trieste Rocco ci era nato nel 1912 quando ancora il padre portava il cognome austriaco Roch perché la famiglia proveniva dall’Impero austro-ungarico, o per meglio dirla alla sua maniera “Noi semo de Cecco Beppe”. Il padre aveva avviato una macelleria dove il figlio Nereo imparerà il lavoro e dove a volte ritornerà anche durante la sua attività di allenatore.Trieste è poi la città dove Rocco si innamora del calcio andando a vedere – giovanissimo – le partite dell’Unione Sportiva Triestina e, come detto, proprio sedendo su quella panchina Rocco riesce a portare la squadra al miglior piazzamento di sempre.
LA FORZA DELLO SPOGLIATOIO - L’utilizzo del libero, certo, il tatticismo esasperato, ovvio. Eppure se qualcuno chiedeva a Rocco quale fosse il segreto del successo rispondeva in modo davvero inaspettato: “La capacità di far andare d’accordo undici milionari”. Stefano Bedeschi nel suo Di punta e di tacco. Parte seconda lo racconta riportando le parole di Gianni De Felice, giornalista amico fraterno di Rocco. Il concetto di “gruppo” è uno dei punti cardinali del viaggio di Rocco lungo la strada del calcio. Sempre attento agli umori e alla compattezza dello spogliatoio, Rocco capisce meglio e prima di altri quanto sia fondamentale il rispetto dato e ricevuto dallo spogliatoio. Dopo Padova il “grande salto” al Milan di Viani, non prima però di aver guidato la Nazionale Olimpica al quarto posto dei Giochi di Roma del 1960. Il Milan pare essere nel destino del Paròn. Sulla panchina rossonera siederà per una decina di anni spezzati da fughe e ritorni. A Milano è scudetto al primo anno, Coppa dei Campioni al secondo. Poi, come detto, il primo strappo. Va a Torino – sponda granata – per quattro anni, dunque il ritorno al Milan dove vince tutto ciò che si può vincere: scudetto, Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe, Coppa Intercontinentale e Coppa Italia.
LA MEGLIO GIOVENTU’ - I risultati parlano per lui. Quando ha avuto in squadra giocatori forti ha vinto tutto, quando ha avuto gli scarti delle grandi squadre ha raggiunto piazzamenti che hanno del miracoloso. A Firenze nel 1974/75 fa rendere al meglio un gruppo giovane e promettente con i vari Antognoni, Guerini, Caso, conquistando la Coppa Italia. Ecco, i giovani. Mai avuto problemi a gettarli nella mischia se valevano. E alcuni calciatori consacrati da Rocco valevano tantissimo. Appena arrivato a Milano Rocco si trova in squadra il futuro golden boy del calcio italiano: Rivera è chiuso dall’immenso genio di Greaves e dunque viene dirottato da Rocco nella squadra “Primavera”. Rocco vede i due incompatibili in quanto uno il doppione dell’altro, Rivera è giovane, Greaves indisponente. E qua si inserisce un aneddoto che bene spiega quanto quel calcio fosse diverso da quello attuale. Più libero, in un certo senso. Il racconto in prima persona – sempre preso dal libro di Bedeschi – è di De Felice:
“(...) Amico di Clive Toy, inviato del «Daily Express», vengo a sapere che Jimmy Greaves, dopo la terza o quarta birra, prende a calci un gatto chiamato Rocco. Chiedo un commento al Paròn, che fa finta di niente ma esige spiegazioni in sede: il controllo sull’appartamento dell’nglese in via Giovanni da Procida si fa così assiduo che, dopo due mesi, Greaves scappa. Rivera torna in prima squadra e dal Brasile arriva Dino Sani (…).”
Così Rocco affida il suo Milan al giovane Rivera, seppur molto distante dai canoni estetici e tattici a lui tanto cari. Ma quando c’è il talento, la classe e l’intelligenza occorre solo modellare il resto della squadra attorno e così Rocco fa, portando il diavolo sul tetto del mondo. È una storia di eterni ritorni quella tra Rocco e il Milan. In rossonero El Paròn ci torna per l’ultima volta nel 1977 come direttore tecnico. Nella stagione 1977/78 fa il debutto un giovane anch’egli destinato a diventare una bandiera e a vincere tutto con i colori del Milan: Franco Baresi. L’ultimo lascito di uno degli allenatori e dei personaggi più influenti del nostro calcio. Sul finire del 1978 viene invitato dal Milan all’Old Trafford per seguire l’incontro con il Manchester United. C’è un freddo barbino che penetra sin dentro le ossa. È tempo di tornare a Trieste, di tornare a casa. Questa volta per sempre. Due mesi più tardi Rocco lascia questa vita e con lui se ne va un pezzo di un calcio che ci manca ogni giorno di più.
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)