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Premier League: l'atto di forza dei 6 super-ricchi, ecco cosa vogliono fare
In primo luogo c'è da rimarcare che esso viene promosso dalle sei società che in questo momento monopolizzano il calcio inglese tanto in termini agonistici quanto in termini economici. I club in questione sono Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham Hotspur. Ma i veri motori del progetto sono Liverpool (sarebbe stato il Fenway Sport Group, la holding statunitense proprietaria del club, a stilare materialmente il documento) e Manchester United, club divisi da una delle rivalità più acerrime del calcio britannico ma resi alleati dall'odore dei soldi. Il menu della riforma è molto corposo e parte da una prima misura giudicata indispensabile: riduzione da 20 a 18 del numero di squadre partecipanti alla Premier. Con quattro giornate di campionato in meno la Premier League si allineerebbe alla Bundesliga e decongestionerebbe il calendario annuale. Del resto, l'intenzione di alleggerire il numero di impegni ufficiali è confermata dal fatto che il Project Big Picture raccomandi la soppressione della Coppa di Lega e del Charity Shield. Quanto al meccanismo di promozione-retrocessione, esso verrebbe ridisegnato nel senso di prevedere il declassamento immediato delle ultime due classificate, mentre la terzultima dovrebbe affrontare un playoff con le squadre che si sono classificate terza, quarta e quinta in Football League Championship. Proprio il rapporto con la Championship e con le altre categorie della Football League è un elemento politicamente strategico del documento. Viene promessa alla FL un'elargizione da 250 milioni di sterline come indennizzo per il mancato introito delle gare che verrebbero soppresse. In realtà si tratta di un robusto assegno che serve a comprare il consenso delle categorie inferiori e a mettere nell'angolo l'attuale governance della Premier. Altre misure mirate a raccogliere consenso sono i 100 milioni di sterline una tantum promessi alla Football Association (FA) per consentirle di fronteggiare i danni prodotti dal coronavirus, un 8,5% dei ricavi netti della Premier League da destinare alla copertura dei costi operativi della FA e a “buone cause”, un 6% dei ricavi lordi della stessa Premier da impegnare per il miglioramento degli stadi in tutte e quattro le divisioni professionistiche, una serie di misure a favore dei tifosi in trasferta (20 sterline come tetto massimo per il prezzo del biglietto, sussidi ai costi per le trasferte, 8% di capienza minima garantita nello stadio della squadra ospitante e il ritorno dei “safe standing”, i posti in piedi tanto rimpianti dai tifosi vecchia maniera), e infine una lega professionistica femminile indipendente da FA e Premier. Di fatto, le Big 6 stanno comprando il consenso di tutte le altre componenti del calcio inglese a danno dell'attuale Premier. Che, va ricordato, ha messo in piedi una macchina organizzativa e mediatica tale da rendere al massimo campionato inglese lo status di NBA del calcio. Dunque fin qui, in termini industriali, ha funzionato. Ma ciò non basta a frenare l'avidità delle Big 6.
Ma cosa vogliono in cambio le 6 società che portano avanti il progetto? Presto detto: una rendita di posizione intoccabile. Chiedono uno status privilegiato per i 9 club che storicamente fanno registrare la più lunga presenza nella prima divisione inglese, e in particolar modo rivendicano diritto di voto speciale (e di veto) a 6 fra questi, cioè a se stessi, su alcune materie: modifica dei regolamenti, approvazione dei contratti, rimozione del chief executive della Premier e eventuali veti sulle proprietà dei club. Dunque, benefici e mance a pioggia in cambio di un potere oligarchico e non negoziabile assegnato a una razza padrona. E che la riforma complessiva vada a beneficio delle Big 6 è confermato da altri due punti del programma: far iniziare più tardi il campionato, per consentire alle squadre di disputare più amichevoli in giro per il mondo; e portare a 15 il numero massimo di calciatori dati via in prestito nelle leghe inglesi (dunque, esclusi dal conteggio i prestiti all'estero), con tetto di prestiti al singolo club che tocchi quota 4 giocatori. Sono le premesse per un sistema che va a rafforzare il dominio e il controllo da parte di chi sta già dominando e controllando. E in fondo la Premier League, intesa come organizzazione, non può protestare. È a partire dal medesimo principio che essa è stata creata e ha prosperato per trent'anni.
@pippoevai