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    Prandelli e Pirlo, vent’anni di amicizia tra scherzi, schiaffi e tante opere di bene

    Prandelli e Pirlo, vent’anni di amicizia tra scherzi, schiaffi e tante opere di bene

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Amico. Un termine importante e spesso abusato. Amicizia vuole dire essere presenti, anche se non ci si vede da anni, nel momento del bisogno. La perdita di un affetto, per esempio, come una moglie o la rottura di un legame perchè la compagna ti lascia. L’amico è quello che si precipita dall’altro capo del mondo pur lenire il dolore provocato da una difficoltà seria. Non ti giudica. Arriva e basta. L’amicizia è condivisione e la certezza di avere tante storie da raccontare. Proprio ciò che possono dire di saper fare Cesare e Andrea Pirlo amici autentici da più di venti anni.

    Si incontrano in Nazionale. Cesare era il maestro, Andrea l’allievo e il colpo di fulmine tra due figli del Bresciano è immediato. Cesare lo vede all’opera e pensa: “Quello lì non gioca, dipinge calcio con i piedi. Nessuno potrà mai essere come lui. E se un giorno facesse il mio mestiere?”. Andrea a sua volta osserva quel tecnico così gentile ed educato e riflette: “L’ideale di allenatore per ciascun giocatore. Dai lui si può solo imparare”. Non se lo dicevano in faccia, allora, ma è esattamente quel che pensavano l’uno dell’altro. Poi badò il destino a cementare il legame. Andrea vestì la medesima maglia della Juve che era stata di Cesare si ritrovarono con addosso la medesima maglia. Smisero di essere soltanto colleghi. Diventarono amici di matita.

    Due facce della medesima medaglia. Tutte e due ingannatrici. Quella di Andrea Pirlo, apparentemente un’acqua cheta timido e riservato. Quella di Prandelli, dipinto come un leone gentile che poteva aver paura soltanto di se stesso. Stereotipi suggeriti dai rispettivi aplomb, in campo, ma in realtà fragili nella quotidianità della vita normale. E la vita è anche fatta di scherzi tra amici che non si offendono mai. L’ultimo è datato dalla vigilia del Mondiale che l’Italia di Lippi vinse a Berlino. La sera prima della partenza per la Germania, il ct concede una serata di rompete le righe. A gruppetti gli azzurri si disperdono per la città in discoteche o pub. Pirlo, De Rossi e Oddo decidono per una serata alcolica. Prandelli in missione da osservatore, dovrebbe essere il quarto moschettiere ma è di umore sverso e declina. Andrà a letto presto. I tre tornano, a notte fonda, in albergo decisamente alticci. Pirlo mette in mano a De Rossi un estintore, gli sussurra qualcosa all’orecchio e poi insieme vanno di fronte alla porta della camera dove Cesare, ospite della squadra, sta dormendo da ore. Pirlo bussa con insistenza. Compare Prandelli con gli occhi pieni di sonno e De Rossi gli scarica addosso la schiuma dell’estintore. Il romanista è lesto a scappare in camera sua urlando: “L’idea è stata di Andrea!”. Pirlo è piegato in due a ridere. Volano altri ceffoni. Si abbracceranno come fratelli, qualche settimana dopo, sotto il cielo di Berlino.

    E c’è da credere che lo faranno per tutta la vita. Un’esistenza che per Pirlo e Prandelli va ben oltre il pallone, il successo, il denaro. Loro sanno e vogliono usare il cuore, soprattutto. Quello che li spinge a fare del bene al prossimo in maniera concreta e ad aiutare tutti coloro che non hanno avuto la stessa fortuna peraltro ben meritata. Una storia, autentica e molto bella, quella di Cesare e di Andrea. Due amici che, domani sera, si costringeranno a non voltarsi per guardare la panchina a fianco. Novanta minuti da avversari. Che fatica, però!

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