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    Pogba: l'anti-Balotelli si racconta

    Pogba: l'anti-Balotelli si racconta

    "Una lunga sfida alla solitudine, ecco il segreto del mio calcio". Il centrocampista francese della Juventus, Paul Pogba si racconta in un'intervista al quotidiano La Repubblica: "Nel 1998 avevo solo cinque anni, ma la Francia campione del mondo in finale contro il Brasile ha cambiato il mio immaginario. Volevo essere Zidane o Henry, anche se il mito era Ronaldo che mi dava l'impressione di poter fare tutto. Ho ammirato anche Adriano". 

    Sul passato bianconero: "Dico Zidane, Trezeguet, Nedved. Talento, classe, disciplina e senso di squadra. Quanto a me so che promettere non basta, bisogna mantenere. Ho fatto la trafila, so che c’è un percorso, ho voglia di arrivare. Non ho imbarazzi con il mio talento, né frette assurde. Però ci tengo a metterlo in azione". 

    Sfida scudetto con la Roma: "Persa la Champions è la gara da vincere".

    Su Balotelli: "Credo che lui abbia sofferto molto, ci sono ferite infantili che non si rimarginano, se non ti sei sentito abbastanza amato, tutto quello che viene dopo non ha mai la forza di cancellare quello che è venuto prima. Un po’ di comprensione non guasterebbe, ha avuto una vita difficile, sembra un bad boy ma il suo fondo è buono. A Manchester per via delle creste ci scambiavano". 

    Sul Manchester United: "Alex Ferguson era unico nel sentire i giocatori, nel capire quello che ancora non sanno di essere. Ferguson vedeva in profondità, intuiva negli altri progressioni e sviluppi che ancora non c’erano. In tanti gli devono il successo, lui ha creduto in anticipo, anche in me, anche se giocavo poco. Mi sconsigliò il trasferimento in Italia dicendomi: troppo razzismo, ti troverai male. In Inghilterra avevo avuto molte difficoltà ad ambientarmi con la lingua che non conoscevo. Sei mesi di pratica infernale, se non sai la lingua e la devi imparare non è che in Gran Bretagna siano molto simpatici. Quanto al razzismo gli risposi che quello c’è dappertutto, nessuno ne è immune. Tanto meno l’Inghilterra. Come hanno dimostrato John Terry e Luis Suarez che ha urlato per sette volte negro a Evra. Anche i nostri tifosi non capiscono che quando insultano un avversario per il colore della pelle fanno male anche a me. E’ un gioco, non la tombola del disprezzo". 

    Sulla famiglia: "I miei genitori si sono separati e sono rimasto con mamma, poi sono andato via di casa presto. Sono stato solo, ma non ho sofferto di solitudine".

    Sui due fratelli gemelli più grandi: "Florentin, più estroso, gioca difensore nel Saint Etienne, Mathias, più maturo, invece è attaccante nel Crewe Alexandra, terza serie inglese. Tutti e due sono nazionali della Guinea". 
    Sul papà: "Antoine, mio padre, voleva fare il calciatore, poi l’allenatore, a lui dobbiamo la spinta verso il pallone. Sono cresciuto guardando le videocassette di mio papà: Pelè la buttava dentro con tutto, sinistro, destro, testa, non c'era niente che non gli riuscisse, Garrincha con le sue finte, con quella gamba strascicata, faceva ammattire gli altri, dove li vedi più i suoi slalom pazzeschi? E Zico con quella potenza di fuoco era un artista della mira. Non solo Pelè e Maradona, ma anche Papin. Volevo avere la sua forza, la sua aggressività. Gioco bene anche a ping-pong, difficile che in ritiro con la Francia qualcuno mi batta, anche se Lloris, Clichy e Gignac sono a mio livello. Ci tengo a dire che la mia famiglia ha sempre insistito sugli studi e che a scuola non ero un campione, ma nemmeno un asino. Leggo libri sull’Islam e anche quello di Thuram, 'Le mie stelle nere'. Mio padre era professore, uomo di studi non solo di calcio. Cerco di capire le mie radici, da dove vengo, chi sono. Mi piace la musica rap, vado matto per gli spaghetti con i gamberetti e per il film Apocalyto di Mel Gibson, la storia del giovane maya, Zampa di Giaguaro, mi ha conquistato. Sono andato in Guinea da poco, per la mia prima volta, bello, ma duro".


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