Platini, il silenzio è d'oro
E’ doloroso, ma è giusto farlo. Dire ancora di Michel Platini e di quel balordo “Fifagate” il quale, scoperchiato come una pentola fumante, comunque vada a finire ha di fatto compromesso l’immagine di un personaggio il quale dopo essere stato eletto re del calcio giocato sembrava avviato, con pieno diritto e per acclamazione, a rivestire il ruolo di rifondatore di un sistema non più credibile. Negli ultimi tempi, paradossalmente, era possibile immaginare di ottenere più facilmente un’intervista da Papa Francesco piuttosto che dal (ex) presidente dell’Uefa. I canali di comunicazione mantenuti aperti da Platini lasciavano filtrare poco o nulla e sempre attraverso la mediazione di “fedeli amici”, oltreché di quella delle canoniche fonti ufficiali.
Improvvisamente la voce di Michel si è palesata su “Tuttosport”, per anni il suo bollettino d’eccellenza, per la penna di Stefano Salandin, un collega che conosco dai suoi esordi giornalistici e per la cui onestà intellettuale mi sentirei di mettere la mano sul fuoco. Ebbene, nel più classico dei “a domanda rispondi” asettico e privo di riflessioni interlocutorie, dall’intervista emerge chiaramente l’immagine di un Platini assolutamente sconosciuto a chi lo amò per l’uomo che è stato. Nelle sue risposte alle domande c’era tutto il Platini che negli anni di Torino e in quelli precedenti all’investitura Uefa nessuno si sarebbe mai sognato di trovare. Il politico che risponde in politichese e che, giocando al gioco delle tre carte, si dibatte nel pollaio delle ovvietà come un gallina impazzita senza fornire uno straccio di “prova provata”. Il proclama finale, poi, “Sono innocente!” ha la forza zero di quelli già ascoltati mille volte nel corso di tutti gli scandali politici e finanziari ai quali, purtroppo, la storia contemporanea del nostro Paese ci ha abituati.
Tutto ciò, beninteso, fino a prova contraria. E se Platini, alla fine, risulterà estraneo ai fatti per i quali viene accusato giuro che sarò il primo a brindare, non fosse altro che per antica amicizia. Ma, in ogni caso, si tratterebbe di un evviva dedicato al “vecchio Michel” e certamente non a quello “nato” dall’ingaggio politico che lo ha trasformato al punto da rinnegare, magari inconsapevolmente, anche se stesso. Lui che si sarebbe mai negato ad una platea di mille studenti e di giovani calciatori in erba che lo avevano invitato in Versilia per sentire la sua lezione sul calcio e sulla vita del calciatore famoso. Manco il benefit di una risposta tipo un educato “no grazie”, malgrado si trovasse in Italia per presentare la sua biografia a un’ora di macchina. Lui che ammette di aver percepito dalla Fifa un milione di franchi (svizzeri) per una consulenza. Consulenza, manco lavoro! E si parla di pallone, non di ricerca sulla sclerosi multipla o contro l’AIDS o per la fame nel mondo. Lui che, infine, senza più la tessera federale in tasca sarebbe costretto a comprarsi il biglietti per i prossimi Europei in Francia e così dice ironizzando “Speriamo che mi offrano quelli a invito". Una boutade che in bocca al vecchio Michel avrebbe fatto ridere. Oggi suona soltanto come la malinconica battuta di un patetico comico dell’avanspettacolo.