Platini, c'est fini! Analisi di un suicidio
Come diceva il testo della vecchia e struggente canzone interpretata da Charles Aznavour, "C’est fini". Si raccontava di un grande amore nato a Capri e morto, malamente, chissà dove. Ora, al posto del nome che porta la nostra bellissima isola è sufficiente mettere quello di Michel Platini. Anche per lui, malauguratamente, la giostra si è fermata. Deve scendere. “C’est fini”.
Francamente mi auguravo e immaginavo che potesse terminare in un altro modo. Ma adesso che anche il tribunale del ricorso sportivo internazionale, al quale l’ex presidente dell’Uefa aveva fatto appello perchè gli venisse cancellata la sospensione di novanta giorni, ha bocciato la sua richiesta di urgenza il sospetto che per “Le Roi” stiano per arrivare tempi duri e di vergogna non è poi così infondato. Soprattutto la ferma ostinazione con la quale i giudici rispondono al dirigente francese accusato di corruzione lascia intendere che un fondo di squallida verità vi sia sotto questa balorda e inattesa vicenda.
A questo punto i giustizialisti, magari un poco farisaici, che invocano a gran voce la ghigliottina per il re che si sarebbe fatto sorprendere con le mani dentro il barattolo di una ricchissima marmellata saranno sicuramente soddisfatti. Io no. Per niente. Ma non nel senso che scagionerei Platini da ogni addebito. Se è colpevole e se ha truffato dovrà pagare il suo debito, anche morale, secondo ciò che prevede la giustizia. In questo caso la radiazione, insieme a quella del perfido Blatter, sarebbe legittima. Il mio dispiacere è molto più sottile e intimo perché va a toccare corde di un passato bellissimo e anche pulito. Quello, per esempio, legato alla scelta del Platini giocatore e campione di rifiutare le cifre da capogiro che gli inglesi erano disposti a dargli semmai lui avesse accettato le offerte dei loro club. “Penso a tutti i morti dell’Heysel e dico no. Preferisco smettere con il calcio giocato”. Era, quello, il Michel capace di conquistare la stima e l‘affetto di coloro che già l’adoravano per le sue prodezze balistiche con il pallone. Era la persona che, oltre al personaggio, dava un senso di giusta giustizia al nostro piccolo quotidiano. Poi, improvvisamente, tutto deve essere cambiato.
Come è noto, l’astuto e volpino Giulio Andreotti diceva che il potere logora chi non ce l’ha. Probabilmente è così. Ma qualche volta anche no. Semmai il contrario. E mi sembra proprio il caso di Platini. Il mio caro e anche divertente compagno di viaggio il quale un pomeriggio a Parigi, in Place de l’Opera, mi disse “da oggi cambia tutto. Da oggi sono un politico”. Una nuvola oscurò il sole e cominciò a piovere, Ma si sa a Parigi Accade di continuo. Purtroppo era un presagio. Iniziava proprio in quel momento la sua discesa verso l’inferno inconsapevole di ciò che lo aspettava dietro l’angolo. Ovvero la corruzione del Potere infetto con il quale non puoi andare a braccetto senza ammalarti della stessa, devastate, malattia. Insomma la speranza che Platini fosse in grado e possedesse la forza di operare per una reale rivoluzione dando l’assalto alla Bastiglia del Calcio con le sue armi (la crescita dei giovani, il famoso “respect”, la correttezza dei bilanci, il mercato intelligente, la lotta alla violenza: era questo di base il suo programma) era destinata a rimanere tale. Una speranza e basta, appunto. Non solo, Platini ha peccato anche di presunzione oppure ha sbagliato strategia come Napoleone a Waterloo illudendosi di poter battere sul campo un genio del male come Blatter che gliel’ha fatta pagare per la serie muoia Sansone con tutti i Filistei.
Ora Platini è come Re Lear. Senza più corona e cieco. Ma, proprio come il sovrano di Shakespeare, nel buio pesto avrà l’opportunità di “vedere” e soprattutto di capire che non è possibile osservare da vicino e troppo a lungo il sole senza perdere la vista.
di Marco Bernardini