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Pippo Russo: Ibra e il PSG, ecco perche' e' arrivato il momento di dirsi addio
“Zlatan è un peso per il PSG?”. Questo titolo trova spazio oggi nella prima pagina dell’Equipe. E sulle prime, leggendo dall’Italia, si trasecola. Ibrahimovic un peso? Avercene, di pesi così. Ma come sempre non ci si può fermare a un titolo. Tanto più se si parla dell’Equipe, un quotidiano che nell’edizione di un solo giorno produce la qualità che in una settimana intera non riescono a produrre i nostri tre quotidiani sportivi. Messi insieme. Bisogna dunque andare a leggere il modo in cui la tesi viene argomentata a pagina 4. Interamente dedicata a quello che in Francia sembra essere diventato un caso.
Analizzando i contenuti di quella pagina ci si rende conto che il caso Ibrahimovic è stato dichiarato aperto mercoledì sera, ma che era latente da tempo. A farlo emergere è stata la prova scialba dello svedese contro il Real Madrid in Champions League, nel contesto di un match grigio di suo e chiuso sullo 0-0. E dentro tanto grigiore il più assente di tutti è risultato proprio Ibrahimovic, la cui prova è stata analizzata in cifre dall’Equipe. I numeri sono impietosi, specie se si guarda ai tiri in porta: zero, senza tenere conto di un calcio di punizione dal limite scaraventato sulla barriera al 61’. Troppo poco per uno come lui, certamente. E ancora meno tenendo conto aspettative che il club francese e i suoi tifosi hanno verso di lui.
Sarebbe una cosa normale, in fondo. Dai grandi giocatori si pretende di più, e dunque si è meno disposti all’indulgenza nei loro confronti. Ma nel caso in questione si va oltre, anche perché entrano in ballo fattori peculiari che riguardano Zlatan Ibrahimovic, il suo club e il rapporto che fra loro si è creato. Per quanto riguarda lo svedese, entra in ballo quella “maledizione della Champions” che ormai pare un destino. Ibrahimovic non l’ha ancora vinta, né gli rimangono molte occasioni per farlo dato che l’anagrafe (34 anni) sta diventando un handicap. Purtroppo è proprio questo il punto: la Champions. Che, spostando l’analisi sul Paris Saint Germain, è diventato l’unico trofeo di rilievo. Il club della capitale francese, a torto o a ragione, vede nell’attaccante svedese la credenziale principale per raggiungerlo. Sicché, se capita che egli manchi la prova nelle gare contro le grandi d’Europa, ecco che salta fuori l’accusa che l’ha accompagnato nel corso della carriera: quella di essere un grande ma non un fuoriclasse, perché mai capace di prendersi sulle spalle la squadra quando ci sarebbe da superare le sfide più difficili. Infatti ciò che da mercoledì sera si dice nei media francesi è proprio questo: Ibrahimovic non aiuta il PSG a fare il salto di qualità in Champions, e anzi è il primo a sparire quando la prova richiede il salto di qualità.
Quanto ci sarà di vero e quanto di esagerato in questa accusa rivolta a Ibrahimovic? Difficile valutare a distanza, e senza tenere conto di altri fattori. A cominciare da quello che riguarda il logorio del rapporto fra lo svedese e il suo club. Che era nell’ordine naturale delle cose, ma che in questa fase viene alimentato dal passaggio di crescita vissuto in questi anni dal PSG. Il club parigino si trova infatti in una situazione strana, forse irripetibile. Gioca in un campionato nettamente al di sotto delle sue possibilità, e che potrebbe vincere a punteggio pieno se ogni tanto non si distraesse causa noia mortale, lasciando qualche punto in giro per la provincia calcistica francese. Un “campionato non allenante”, direbbe Fabio Capello. Magari sarà anche a causa di questa povertà tecnica e agonistica se il PSG non fa il salto di qualità in Europa. E questa è davvero una situazione paradossale: mentre molte delle grandi d’Europa hanno il problema di bilanciare le energie fra campionato e Champions per mantenersi competitive in entrambe le competizioni, il PSG rischia i colpi di sonno in patria e il difetto di temperatura agonistica in Champions. E ciò si riflette sulle motivazioni dei suoi calciatori di massimo livello. Che giocano nel club in cui vengono pagati i salari medi più elevati al mondo, ma che non danno proprio l’idea di vivere l’avventura più stimolante della loro carriera.
In una situazione come questa, i disagi di un “malpancista” di lungo corso come Ibrahimovic sono scontati, e altrettanto lo sono le perplessità di un club cresciuto in modo squilibrato: smisuratamente in patria, ma mai abbastanza in Europa. Il vero problema non è lo svedese (che pure i suoi difettacci li ha), ma il fatto che per il successo sportivo non basta la valanga di petroldollari. Né basterà comprare Cristiano Ronaldo, un affare di cui si vocifera con sempre maggiore insistenza. Perché andrà a finire che il PSG vincerà la Ligue 1 conquistando tutti i 114 punti in palio, ma continuerà anche a arrivare in Champions senza essersi forgiato dentro la necessaria temperatura agonistica che soltanto un torneo nazionale credibile può dare. E dunque, tornando alla domanda di partenza proposta dall’Equipe, davvero Ibrahimovic è un peso per il PSG? Forse la verità è che le due parti sono ormai un peso l’una per l’altra: il giocatore per la squadra e la squadra per il giocatore. Comunque vada questa stagione, sarebbe meglio per tutti se a giugno si giungesse ai saluti.
@pippoevai
Analizzando i contenuti di quella pagina ci si rende conto che il caso Ibrahimovic è stato dichiarato aperto mercoledì sera, ma che era latente da tempo. A farlo emergere è stata la prova scialba dello svedese contro il Real Madrid in Champions League, nel contesto di un match grigio di suo e chiuso sullo 0-0. E dentro tanto grigiore il più assente di tutti è risultato proprio Ibrahimovic, la cui prova è stata analizzata in cifre dall’Equipe. I numeri sono impietosi, specie se si guarda ai tiri in porta: zero, senza tenere conto di un calcio di punizione dal limite scaraventato sulla barriera al 61’. Troppo poco per uno come lui, certamente. E ancora meno tenendo conto aspettative che il club francese e i suoi tifosi hanno verso di lui.
Sarebbe una cosa normale, in fondo. Dai grandi giocatori si pretende di più, e dunque si è meno disposti all’indulgenza nei loro confronti. Ma nel caso in questione si va oltre, anche perché entrano in ballo fattori peculiari che riguardano Zlatan Ibrahimovic, il suo club e il rapporto che fra loro si è creato. Per quanto riguarda lo svedese, entra in ballo quella “maledizione della Champions” che ormai pare un destino. Ibrahimovic non l’ha ancora vinta, né gli rimangono molte occasioni per farlo dato che l’anagrafe (34 anni) sta diventando un handicap. Purtroppo è proprio questo il punto: la Champions. Che, spostando l’analisi sul Paris Saint Germain, è diventato l’unico trofeo di rilievo. Il club della capitale francese, a torto o a ragione, vede nell’attaccante svedese la credenziale principale per raggiungerlo. Sicché, se capita che egli manchi la prova nelle gare contro le grandi d’Europa, ecco che salta fuori l’accusa che l’ha accompagnato nel corso della carriera: quella di essere un grande ma non un fuoriclasse, perché mai capace di prendersi sulle spalle la squadra quando ci sarebbe da superare le sfide più difficili. Infatti ciò che da mercoledì sera si dice nei media francesi è proprio questo: Ibrahimovic non aiuta il PSG a fare il salto di qualità in Champions, e anzi è il primo a sparire quando la prova richiede il salto di qualità.
Quanto ci sarà di vero e quanto di esagerato in questa accusa rivolta a Ibrahimovic? Difficile valutare a distanza, e senza tenere conto di altri fattori. A cominciare da quello che riguarda il logorio del rapporto fra lo svedese e il suo club. Che era nell’ordine naturale delle cose, ma che in questa fase viene alimentato dal passaggio di crescita vissuto in questi anni dal PSG. Il club parigino si trova infatti in una situazione strana, forse irripetibile. Gioca in un campionato nettamente al di sotto delle sue possibilità, e che potrebbe vincere a punteggio pieno se ogni tanto non si distraesse causa noia mortale, lasciando qualche punto in giro per la provincia calcistica francese. Un “campionato non allenante”, direbbe Fabio Capello. Magari sarà anche a causa di questa povertà tecnica e agonistica se il PSG non fa il salto di qualità in Europa. E questa è davvero una situazione paradossale: mentre molte delle grandi d’Europa hanno il problema di bilanciare le energie fra campionato e Champions per mantenersi competitive in entrambe le competizioni, il PSG rischia i colpi di sonno in patria e il difetto di temperatura agonistica in Champions. E ciò si riflette sulle motivazioni dei suoi calciatori di massimo livello. Che giocano nel club in cui vengono pagati i salari medi più elevati al mondo, ma che non danno proprio l’idea di vivere l’avventura più stimolante della loro carriera.
In una situazione come questa, i disagi di un “malpancista” di lungo corso come Ibrahimovic sono scontati, e altrettanto lo sono le perplessità di un club cresciuto in modo squilibrato: smisuratamente in patria, ma mai abbastanza in Europa. Il vero problema non è lo svedese (che pure i suoi difettacci li ha), ma il fatto che per il successo sportivo non basta la valanga di petroldollari. Né basterà comprare Cristiano Ronaldo, un affare di cui si vocifera con sempre maggiore insistenza. Perché andrà a finire che il PSG vincerà la Ligue 1 conquistando tutti i 114 punti in palio, ma continuerà anche a arrivare in Champions senza essersi forgiato dentro la necessaria temperatura agonistica che soltanto un torneo nazionale credibile può dare. E dunque, tornando alla domanda di partenza proposta dall’Equipe, davvero Ibrahimovic è un peso per il PSG? Forse la verità è che le due parti sono ormai un peso l’una per l’altra: il giocatore per la squadra e la squadra per il giocatore. Comunque vada questa stagione, sarebbe meglio per tutti se a giugno si giungesse ai saluti.
@pippoevai