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    Pernambuco: Sarri libera Castori per il Milan

    Pernambuco: Sarri libera Castori per il Milan

    Forse non vincerà lo scudetto, forse sarà bruciato in semifinale Uefa e beffato in Coppa Italia, ma un segno Sarri lo ha già lasciato. Un sasso lanciato nello stagno dei soliti noti, degli Allenatori con la A maiuscola, dei professionisti acclarati  destinati ai vertici. Sembrava che non potesse uscire dai recinti del Valdarno e del Casentino: belle terra, belle stoffe, bei prosciutti, grandi umanisti e artisti (Poggio Bracciolini, Masaccio, Piero Della Francesca…), ma calcisticamente non esaltante. Lui, il bancario, il travet, era riuscito a sfondare le Colonne d’Ercole e ad approdare alle Indie Occidentali, rappresentate dalla ridente Empoli. Lì, in quell’ orto concluso, lontano dalle pressioni metropolitane, nel tono medio che ancora reca qualche venatura di Ottocento, con le barche del vicino padule di Fucecchio e gli echi venatori di Fucini, Sarri forgiò la squadra.

    Quell’Empoli che ancor oggi non cessa di stupire e che quel gran galantuomo di Giampaolo ha definito “creatura interamente sarriana”. Il salto dai colli toscani ai Campi Flegrei si presentava come un triplo mortale carpiato che nemmeno Di Biasi e Cagnotto insieme avrebbero osato. Folle, per un provinciale integrale, avventurarsi oltre i confini della Provincia. In molti lo davano per spacciato, triturato dalle Tammuriate nere e dai capricci dell’ imperatore Tiberio/De Laurentis. Salutando tutti senza cerimonie degli addii, imboccò la strada verso Sud in bicicletta, tuta e una rete di palloni in spalla. Con queste armi ha domato o resuscitato (dipende dai punti di vista) una delle squadre più problematiche dell’ultimo decennio, tutta cuore, passione e avventatezza; con campioni perplessi, incerti tra malinconia e pinguedine.

    Semplice, lineare, elementare, diretto. Una specie di reincarnazione, non tattica, ma umana di Rocco: la tuta e quella ruvidezza d’un affetto intenso, denso, senza fronzoli. L’affermazione di Sarri è anche quella dell’allenatore figlio di nessuno, del soldato semplice bonapartiano che reca nel suo zaino il bastone di maresciallo, del “si può fare” anche senza grandi maestri introduttori, Presidenti sedicenti mallevadori, Agenti mefistofelici. Sì, anche senza nascere universitari del pallone, si può arrivare a una cattedra. Dopo anni è tornato un nuovo Sacchi. E il paragone non sembri ardito, perché se Sarri ha ancora moltissimo da dimostrare rispetto al Profeta di Fusignano, bisogna considerare il contesto: quel Milan non è questo Napoli e, soprattutto Napoli non è Milano. Caratteri, tratti diversi, ma l’origine, l’avventura, il calciatore dilettante che sboccia allenatore professionista, sono i medesimi. E’ l’avventura del marginale, e non dell’unto del signore, osannato al centro della grande arena. Una meteora illuminante che rischiara e dà speranza ad altri oscuri, provinciali, appassionati allenatori, senza aplomb, senza ciuffi, senza padri e padrini. Un destino esemplare per i non predestinati. E se la meteora, oltre che luminosa, non fosse una sola? Vedendo il profilo littorio di un Castori, imbottito nella giacca a vento, con lo sguardo grifagno che arrembava i suoi contro la Juve, veniva da pensare: l’anno prossimo al Milan? Già: Berlusconi con il Lambrusco e il salame di Felino. In fondo, con Sacchi, era partito dalla piadina.

    Fernando Pernambuco

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