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    Pernambuco: Donadoni è un grande

    Pernambuco: Donadoni è un grande

    Ce ne accorgiamo oggi di fronte ai miracoli. Normalmente non ce ricordiamo mai. Chi è? Roberto Donadoni, perbacco! Il più misconosciuto fra i grandi allenatori. Grande? Sì, se si lega al contesto in cui lavora e ha lavorato. Un campionato a testa alta l’anno scorso con una squadra fallita. Un Bologna preso agonizzante e subito resuscitato. E tutto come se si trattasse della cosa più semplice e normale del mondo, senza mai una polemica, una smargiassata, una battuta fuori luogo.

    Ovunque nella sua lunga carriera, mai una lamentela, una furbata, un ingaggio blindato da regole astute, le catene d’oro che legano un allenatore alla squadra che non allena più. Va in Nazionale e comincia ad allenare senza contratto, fidandosi di Abete e fin dall’ inizio viene massacrato per il suo “grigiore”. Va fuori per un quarto di finale perso ai rigori con la Spagna campione del mondo. Lo considerano subito un fallimento e lui non accampa né giustificazioni né scuse. Non dice nemmeno, che un mese prima, Lippi aveva radunato tutti i suoi giocatori grazie alla Federcalcio, per festeggiare il proprio compleanno, in ricordo dei Mondiali vinti in Germania, e lasciare intendere chi sarebbe stato il prossimo ct. Al Napoli trova un ambiente non proprio amichevole (Marino non lo vuole) e ogni giorno è una battaglia quotidiana, prima di tutto all’ interno della Società. Niente: nessuna polemica, campo, allenamenti, partite a carte e scudo assoluto nei confronti dei giocatori. I tifosi non sono contenti perché lui a loro non liscia mai il pelo, non inveisce, non urla: la colpa non è mai dell’ arbitro, dei poteri forti, degli oscuri macchinismi del fato…

    Donadoni, detto l“Osso” perché non molla mai, perché si assume le responsabilità, perché non protesta. Donadoni  che non guarda in macchina durante le interviste e che non si cura dei riti mediatici. Donadoni che sa di calcio come pochi e tira fuori il “sangue dalle rape”. Che cosa ha che non va, che non lo fa essere mai additato come un esempio? Forse è quella faccia un po’ così, introversa e malinconica. Forse è la sua schietta laconicità. Tutti ingredienti che non ne fanno un personaggio mediatico, anzi all’opposto lo rendono un emblema dell’ insuccesso.

    Al Milan, lui gran giocatore di quella squadra stellare, non l’hanno mai voluto come allenatore. Perché? Poco glamour? Troppo understatement? Troppo autentico? Non beve, non fuma, guarda le partite in tvisolandosi dal mondo. Il suo solo vizio sono i cioccolatini. Chi lo conosce narra di una sua infinita generosità verso gli amici, di una sensibilità mai esibita, di un innato rispetto verso tutti. Ricomincia sempre da zero. Senza paura e senza ipertrofia dell’ego. Sembra triste, ma non lo è perché non si abbatte. Come tutti i malinconici, quelli nati sotto Saturno, sa approfondire e leggere al di là delle apparenze. Sì, ricomincia sempre. Ha un figlio di trent’anni e una figlia di pochi mesi. Con quella faccia un po’ così, che non ha paura né delle sconfitte, né delle vittorie. Sa che, in fondo, sono due facce della stessa medaglia.

    Fernando Pernambuco

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