Pernambuco: Cancogni, una vita (anche) per lo sport. E quell'amore per Mazzola...
Nello sport, Cancogni cercava e trovava la cornice romanzesca ideale. Dietro e dentro il cimento si celava un quid misterioso da svelare e raccontare in poche o molte righe. Fosse il ritratto di Bartali “distrutto e monumentale” appoggiato alla bici dopo una tappa o la danza di Ray Sugar Robinson, “il più grande di tutti”, il pugile che sembrava un cantante. Degli scrittori-cronisti di fatti sportivi, Cancogni è stato quello, come si diceva, che non ha mai disdegnato il reportage o l’indagine. Non a caso il suo primo articolo, pubblicato nel primo numero dell’Espresso il 2 ottobre 1955, s’intitolava “Professionismo nel mondo calcistico. Tutti ne parlano nessuno lo vuole”. Arrivò al calcio dopo il ciclismo e il pugilato, sull’ onda dei racconti e delle cronache ippiche di Hemingway. Scevro dalle ricchezze espressionistiche di Brera e dai “tenebrismi” dell’altro grande, Arpino, cominciava quasi sempre in sordina, in odio agli eccessi letterari. Ma era un letterato finissimo, che fuggiva il narcisismo e l’intellettualismo come bestie rare.
Uno dei suoi libri è dedicato proprio al calcio. S’intitola “Il Mister” (Fazi editore). Racconta delle peripezie d’una squadra di calcio giovanile di un quartiere romano nel 1932, allenata da un allenatore slavo che si chima Vector Zoran. Le avventure e le disavventure di Zoran ricordano da vicino quelle di Zeman.
Ad Arpino che gli diceva “la Juventus è universale, il Torino un dialetto”, rispose a modo suo con il libro “Toro delle meraviglie”. Un lungo racconto che comincia nel 1946. Il Torino gioca a Livorno, Cancogni raggiunge lo stadio dell’ Ardenza in bicicletta da Fiumetto, vicino a Pietrasanta in Versilia ed è subito amore per la squadra di Valentino Mazzola (foto storiedicalcio.com). A Roma, giornalista del settimanale “Giorno d’oggi”, nel vecchio stadio Flaminio vede i granata travolgere per 7 a 0 la Roma di Amadei. Ma il ricordo più bello è quello del tifoso cieco che si faceva portare sulle gradinate del Filadelfia e gioiva alle giocate di Loik o di Ossola mentre un suo amico gliele raccontava.
Fernando Pernambuco