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    Perchè l'Italia deve essere orgogliosa del nuovo stadio della Juve

    Perchè l'Italia deve essere orgogliosa del nuovo stadio della Juve

    • Xavier Jacobelli - Direttore www.quotidiano.net

    Non è vero che il nostro sia un Paese di emme, come ha detto il capo del suo governo che, dopo una castroneria del genere, avrebbe dovuto avere il coraggio di andare in tv e chiedere scusa a tutti i connazionali.

    Non è vero che non abbiamo nè un presente nè un futuro, anche se, con la Casta politica che ci ammorba, siamo autorizzati a pensare il contrario. La straordinaria notte del nuovo stadio bianconero ha assunto un significato che travalica l'ambito squisitamente calcistico del primo impianto di proprietà di una società di A. L'imponente grandezza dell'opera, la bellezza spettacolare della cerimonia d'inaugurazione, le emozioni accese nel cuore degli spettatori presenti e degli appassionati bianconeri e non bianconeri che hanno seguito l'evento in tv, sono solo i primi capitoli di una storia tutta da scrivere.


    Il più importante, però, misura il valore di una simile realizzazione, presentata al mondo in un  momento così difficile per il nostro Paese, assalito da una crisi economica spaventosa e a rischio di irreparabile deriva, causa incapacità della classe dirigente nazionale di affrontare la congiuntura con coraggio e, soprattutto, credibilità.

    Il nuovo stadio della Juve è un motivo d'orgoglio per l'Italia: dimostra come sia possibile essere all'altezza degli standard europei anche se da oltre tre anni in Parlamento dorme il disegno di legge sugli stadi che consentirebbe di costruirli a costo zero per i contribuenti. Anche se tutti i partiti, di centro, destra e sinistra, del calcio se ne fregano, salvo sfruttarlo come cassa di risonanza mediatica quando c'è da sparare scemenze sugli stipendi dei giocatori. Anche se la Juve è stata costretta a metterci tredici anni (13) per superare tutti gli ostacoli burocratici prima di tagliare il traguardo di un'opera che le è costata 122 milioni di euro.

    E il capolavoro bianconero diventa ancora più prezioso se si ricorda che, dopo Calciopoli, la società degli Agnelli ha vissuto gli anni più bui e più duri della sua storia lunga 114 anni. Il nuovo stadio è un atto di coraggio e di fede; ha creato occupazione al tempo della crisi; ha raccolto applausi ed ammirazione non soltanto dentro i confini tricolori, per l'alta tecnologia, la modernità, l'architettura d'avanguardia che lo caratterizzano. E poi c'è il Tricolore. Quella fascia bianca, rossa e verde che cinge l'impianto; quell'inno di Mameli cantato a squarciagola da tutti i presenti; quell'identità nazionale riaffermata nella prima capitale del nostro Paese a 150 anni dalla sua unificazione. Se il calcio è anche lo specchio di una nazione, ieri sera a Torino abbiamo capito che possiamo ancora sperare di farcela. In fondo, a Torino sono nate molte cose importanti: l'automobile, il cinema, la radio, la tv. Può rinascere anche la speranza.


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