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    Pep, cambia: il guardiolismo è finito!

    Pep, cambia: il guardiolismo è finito!

    • Matteo Quaglini
    La crisi del grande Pep è iniziata un anno fa in Baviera, dopo la sconfitta col rivale ideologico Diego Simeone. Quel giorno fu la fine di un’idea: unire, in una globalizzazione tecnica audace, il calcio spagnolo del possesso radicale con il calcio tedesco verticale.  Fallita sull’altare europeo la ripetizione di Barcellona sarebbe dovuto scattare in Guardiola l’allarme. E l’idea di cambiare. 

    I sintomi di un gioco chiuso senza più sbocchi di qualità erano chiari. Così come chiaro era il concetto che lui dovesse rivedere qualcosa nella costruzione delle squadre abbracciando la flessibilità.

    Invece Pep è andato avanti allo stesso modo come Napoleone nell’ultimo periodo militare e dimenticando Velasco suo mentore di incontri passati a parlare di come si gestiscano le squadre e si leggano le partite. E di come si cambino, soprattutto.

    La mentalità dall’idea ferrea che “il gioco è questo, e così noi vinceremo o perderemo”, ha prevalso e non ha pagato. Oggi in una squadra di mercenari senz’anima chiede il conto. Guardiola più che importare l’idea stantia del possesso doveva innestare l’idea del “noi saremo questo nel tempo e questo ci darà una storia”. Invece no, avanti tutta a cento all’ora contro il muro dell’immutabilità. Male e grave. 

    Gli scontri diretti sono stati esemplari per capire le cause della crisi del guardiolismo: mancanza di idee alternative, inflessibilità, scarsa lettura strategica del campionato e, costruzione discutibile della squadra. La scelta sbagliata degli uomini ora che non ci sono più Xavi, Messi, Iniesta e i cavalieri bavaresi è la causa più grande della crisi del maestro catalano.

    La Premier è perduta e Marca ha titolato “El desconoscido Pep”. E’ il tempo delle soluzioni. Quali? Cambiare il gioco. Il dogma del possesso come unica soluzione per rimontare quando si sta perdendo 3-0 non va bene, occorre un cambio di sistema o più cambi durante la partita a seconda delle mosse dell’avversario (o anticipandole) per portarne via i riferimenti tattici e muovere anche cento volte lo scacchiere della gara. 

    Occorre allenare la squadra a trovare i tempi di una difesa aggressiva in avanti, senza lasciare spazi, in un campionato che gioca da area ad area.

    Secondo la cultura di centrocampo da introdurre. Sembra un paradosso, ma Guardiola pur con Silva, De Bruyne e Toure non ha portato questa cultura in Inghilterra. Gli serve un regista che veda il gioco prima e due mezze ali che si inseriscono da dietro, in un centrocampo a tre e non a due. Il centrocampo non è il possesso palla è la mente. Sarebbe una novità spiazzante nel campionato inglese la gestione dei tempi. Accelerare e decelerare, di continuo.

    Terzo, l’acquisto di leader carismatici. Un grande allenatore ha grandi giocatori perché è sullo scontro che si vincono i campionati. Il City ne ha pochi, Guardiola ne deve acquistare di più e tutti devono essere dal gioco “verticale”.

    Il grande Kasparov mito degli scacchi diceva che essi aiutano a migliorare la propria logica, ad assumersi la responsabilità così come, aiutano a risolvere i problemi in un ambiente incerto. Un grande consiglio per Guardiola questo: costruisca degli incastri tra problemi e soluzioni, non un semplice e modesto dogma.

    @MQuaglini

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