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Dossier Nigeria: dall’oracolo di Pelé alla corruzione e al buio, Osimhen guida l'alba del nuovo Dream Team
Giugno 1989, Scozia. Si giocavano i Mondiali Under 17, una delle manifestazioni giovanili più importanti del pianeta, e l’evento attirò personalità da tutto il globo. Tra gli uomini di calcio accorsi Oltremanica c’era anche Pelé, O Rei, una vera e propria leggenda, in cerca di talenti e di un po’ di divertimento per i propri occhi dopo aver offerto godimento puro a quelli altrui per qualche lustro con la sua ginga. Alla fine di quella manifestazione, Pelé fece una previsione che suonò più o meno così: “Prima dell’inizio del Nuovo Millennio, una squadra africana alzerà la Coppa del Mondo”. Si riferiva alla Nigeria, che in quel Mondiale Under 17 venne eliminata ai quarti di finale, ai rigori, dai futuri campioni dell’Arabia Saudita, chiudendo senza subire reti e con la soddisfazione di aver vinto il girone davanti all’Argentina, con un calcio puro, grezzo ma tecnicamente spettacolare.
DELUSIONE - Avanti veloce fino al 2022: non solo nessuna squadra africana ha mai raggiunto neanche la finale dei Mondiali (la più vicina è stata proprio il Marocco, quarto nell’ultima edizione), ma la Nigeria che Pelé aveva visto sbocciare non si è neanche qualificata, eliminata dal Ghana e umiliata 4-0 qualche mese dopo, in un'amichevole giocata il 17 novembre, dal Portogallo di Bruno Fernandes, che dopo la partita ha definito i nigeriani “deboli, di un livello veramente basso”. La formazione di quella Nigeria? Eccola qua: Uzoho; Samuel, Akpoguma, Troost-Ekong, Bassey; Ndidi; Iwobi, Aribo, Moffi, Lookman; Simon. Mancava Osimhen, ma chi segue il calcio estero sa che oltre a Lookman e Troost-Ekong della nostra Serie A in questa formazione figurano giocatori che militano tutti nei principali campionati europei, con risultati stratosferici. In panchina Onuachu, Chukwueze, Dennis, Dessers. Eppure Bruno Fernandes, non l’ultimo arrivato, ha percepito un livello basso. Invece, nello spareggio con il Ghana, ad uno 0-0 in trasferta aveva fatto seguito un 1-1 nella capitale Abuja, allora Osimhen era in campo ma non è andato oltre un gol annullato dal Var, e dopo il fischio finale i tifosi inferociti hanno invaso il terreno di gioco, provocando immani disordini e la morte, nella ressa, del medico della FIFA Joseph Kabungo, a bordocampo per i test antidoping. Il de profundis del calcio nigeriano. Ma Pelé, in realtà, non l’aveva sparata così grossa.
A SCUOLA DAI BRASILIANI – Il soprannome “Brasile d’Africa” non è dato solo dalla tecnica che hanno sempre mostrato i giocatori nigeriani, specie quelli offensivi come Jay-Jay Okocha. A partire dal 1979, infatti, la Nigeria mandò molte delle sue squadre in Brasile per far lavorare i giocatori con i maestri verdeoro, su tutti Otto Gloria, l’allenatore del Portogallo terzo ai Mondiali del 1966, quelli dominati da Eusebio (9 reti) e vinti dall’Inghilterra di Hurst con il famoso gol fantasma alla Germania Ovest. Ne venne fuori un movimento in grado, appunto, di portare Pelé a sbalordirsi dieci anni dopo, ma di fare anche meglio in seguito. La guida della Nazionale maggiore passò proprio nel 1989 all’olandese Clemens Westerhof, che ottenne un secondo e un terzo posto (sconfitte contro Algeria e Ghana) nelle successive Coppe d’Africa per poi vincere al terzo tentativo (2-1 in finale allo Zambia) e qualificarsi ai Mondiali di USA ’94. Era l’inizio del biennio migliore della storia del calcio nigeriano.
L’ITALIA E IL TRIONFO – Capace per la seconda volta in 5 anni di arrivare davanti all’Argentina nel girone con anche Bulgaria e Grecia, la Nigeria di Amunike, Okocha e Oliseh si fermò agli ottavi contro l’Italia futura finalista, cui servirono due prodezze di Roberto Baggio per ribaltare, ai supplementari, il vantaggio di Amunike in 10 contro 11 per via dell’espulsione ingiusta di Zola. “Ci ha tirati giù dall’aereo”, avrebbe detto poi Arrigo Sacchi riferendosi al pareggio di Baggio arrivato a 100 secondi dalla fine. La Nigeria però aveva impressionato, e il movimento era in continua espansione. Nel 1996, sempre negli Stati Uniti ma ad Atlanta, le Super Eagles Under 23 guidate da un altro olandese, Johannes Bonfrère, vinsero la medaglia d’oro alle Olimpiadi dopo aver battuto 4-3 in semifinale il Brasile di Ronaldo il Fenomeno, Rivaldo e Bebeto e 3-2 in finale l’Argentina di Crespo, Claudio Lopez e Ortega. I nomi di quello che è passato alla storia come Dream Team? Taribo West, Okocha, Amokachi, Amunike, Oliseh, Babangida, Nwankwo Kanu. Sull’onda lunga del successo di questo squadrone, la Nigeria era pronta a sconvolgere gli equilibri del calcio mondiale. Ma non lo ha fatto.
CORRUZIONE E MALA GESTIONE DELLE RISORSE – Altri due anni, e arrivò il momento Francia '98. Le Super Eagles si affidarono all'allenatore giramondo Bora Milutinovic, una garanzia assoluta, e batterono addirittura la Spagna testa di serie e la Bulgaria di Hristo Stoichkov, perdendo l'ultima col Paraguay ma passando comunque il girone per prime. Gli ottavi contro la Danimarca, a quel punto, sembravano alla portata per Kanu e compagni, ma sul più bello l'incantesimo si spezzò. Problemi all'interno dello spogliatoio, qualche bagordo di troppo la sera prima a sentire le dichiarazioni di Taribo West, gli ingranaggi si incepparono e i danesi, guidati dai fratelli Laudrup, vinsero 4-1. Cominciò il buio. Il problema della Nigeria, intesa come Nazionale, è la Nigeria intesa come Paese. Tutto questo ben di dio, purtroppo, ha avuto la sfortuna di essere di stanza proprio nello Stato più povero e corrotto al mondo, contesto al quale non sfugge la Federazione calcistica. Nonostante Lagos e dintorni sfornino ripetutamente giocatori interessantissimi, come Oba Oba Martins e John Obi-Mikel nel primo decennio degli anni 2000, la totale assenza di serenità ha portato la NFF (Nigerian Football Federation) a commettere errori marchiani, come quello di ritirarsi in tronco dalle competizioni internazionali per due anni in seguito all’eliminazione ai gironi ai Mondiali 2010 in Sudafrica. La corruzione, finalizzata ad arrivare ai vertici del calcio nigeriano, è a livelli apicali, tanto che nell’ultimo decennio, quello successivo alla vittoria della Coppa d’Africa 2013 con in squadra talenti come il già citato Obi Mikel, Emmanuel Emenike, Ahmed Musa, Victor Moses e Ideye Brown, sono cambiati ben sei presidenti. Quello del 2013, però, è stato un bagliore nelle tenebre, spento dall’eliminazione ai Mondiali di Brasile 2014 ad opera della Francia. Curiosità: allora la Nigeria si è qualificata ancora una volta nel girone dell’Argentina, però come seconda. Tornando invece alle ragioni della mancata conferma a livello internazionale, come se non bastasse il resto, la popolazione convive con la paura di gruppi terroristici come Boko Haram e i Vendicatori del Delta del Niger, e tutto questo ha rallentato, quando non del tutto fermato l’immissione delle risorse nei settori giovanili e nei campionati nazionali, spingendo i talenti nigeriani a cercare migliori fortune in Europa. Le stanno trovando? Assolutamente sì.
IL NUOVO DREAM TEAM – Soltanto le gare di due giorni fa nelle Coppe europee fanno saltare all’occhio una coppia di attaccanti niente male: l’immenso Victor Osimhen lo conosciamo tutti, invece quel Gift Orban del Gent che ha polverizzato il Basaksehir con 3 gol in 4 minuti a Istanbul pare proprio esserne il precoce erede. Poi c’è l’atalantino Ademola Lookman che ha scelto la Nigeria invece dell’Inghilterra, cosa che potrebbe fare a breve anche Folarin Balogun, 16 reti in 27 giornate di Ligue 1 col Reims in Francia, una in più del connazionale Terem Moffi del Nizza; Paul Onuachu, che gioca nel Southampton ma che al Genk in Belgio aveva realizzato fino a gennaio 16 gol in 19 partite; è nigeriano anche il vice capocannoniere dell’Europa League, l’attaccante dell’Union Saint Gilloise Victor Boniface (5 gol, uno in meno di Rashford), e poi ci sono Samuel Chukwueze del Villarreal, Alex Iwobi dell’Everton, Kelechi Iheanacho del Leicester, Dessers e Okereke della Cremonese. Questo solo in attacco e sulle fasce offensive. Non male neanche la difesa, perché i terzini destri Tyronne Ebuehi e Ola Aina giocano e lo fanno bene in Italia (Empoli e Torino), mentre il sinistro Calvin Bassey è una colonna dell’Ajax; quanto ai centrali di difesa, William Troost-Ekong ha esperienza con Udinese, Watford e Salernitana e Kevin Akpoguma milita nell’Hoffenheim in Bundesliga. Le debolezze sono in porta, dove manca l'Onana della situazione, e a centrocampo, reparto in cui i muscoli di Wilfried Ndidi del Leicester non bastano. Servirebbe un regista, unica lacuna di una squadra altrimenti sulla carta estremamente competitiva. Toccherà a Josè Peseiro, ex attaccante portoghese, già vice di Carlos Queiroz sulla panchina del Real Madrid 2003-2004, assemblare al meglio tutti questi pezzi pregiati, una sorta di Galacticos del Terzo Mondo con la maglia della Nigeria, per la Coppa d’Africa 2024 in Costa d’Avorio e per i Mondiali 2026. Dove? Naturalmente, negli Stati Uniti (insieme a Messico e Canada). Che ai brasiliani d'Africa, storicamente, portano piuttosto bene…
DELUSIONE - Avanti veloce fino al 2022: non solo nessuna squadra africana ha mai raggiunto neanche la finale dei Mondiali (la più vicina è stata proprio il Marocco, quarto nell’ultima edizione), ma la Nigeria che Pelé aveva visto sbocciare non si è neanche qualificata, eliminata dal Ghana e umiliata 4-0 qualche mese dopo, in un'amichevole giocata il 17 novembre, dal Portogallo di Bruno Fernandes, che dopo la partita ha definito i nigeriani “deboli, di un livello veramente basso”. La formazione di quella Nigeria? Eccola qua: Uzoho; Samuel, Akpoguma, Troost-Ekong, Bassey; Ndidi; Iwobi, Aribo, Moffi, Lookman; Simon. Mancava Osimhen, ma chi segue il calcio estero sa che oltre a Lookman e Troost-Ekong della nostra Serie A in questa formazione figurano giocatori che militano tutti nei principali campionati europei, con risultati stratosferici. In panchina Onuachu, Chukwueze, Dennis, Dessers. Eppure Bruno Fernandes, non l’ultimo arrivato, ha percepito un livello basso. Invece, nello spareggio con il Ghana, ad uno 0-0 in trasferta aveva fatto seguito un 1-1 nella capitale Abuja, allora Osimhen era in campo ma non è andato oltre un gol annullato dal Var, e dopo il fischio finale i tifosi inferociti hanno invaso il terreno di gioco, provocando immani disordini e la morte, nella ressa, del medico della FIFA Joseph Kabungo, a bordocampo per i test antidoping. Il de profundis del calcio nigeriano. Ma Pelé, in realtà, non l’aveva sparata così grossa.
A SCUOLA DAI BRASILIANI – Il soprannome “Brasile d’Africa” non è dato solo dalla tecnica che hanno sempre mostrato i giocatori nigeriani, specie quelli offensivi come Jay-Jay Okocha. A partire dal 1979, infatti, la Nigeria mandò molte delle sue squadre in Brasile per far lavorare i giocatori con i maestri verdeoro, su tutti Otto Gloria, l’allenatore del Portogallo terzo ai Mondiali del 1966, quelli dominati da Eusebio (9 reti) e vinti dall’Inghilterra di Hurst con il famoso gol fantasma alla Germania Ovest. Ne venne fuori un movimento in grado, appunto, di portare Pelé a sbalordirsi dieci anni dopo, ma di fare anche meglio in seguito. La guida della Nazionale maggiore passò proprio nel 1989 all’olandese Clemens Westerhof, che ottenne un secondo e un terzo posto (sconfitte contro Algeria e Ghana) nelle successive Coppe d’Africa per poi vincere al terzo tentativo (2-1 in finale allo Zambia) e qualificarsi ai Mondiali di USA ’94. Era l’inizio del biennio migliore della storia del calcio nigeriano.
L’ITALIA E IL TRIONFO – Capace per la seconda volta in 5 anni di arrivare davanti all’Argentina nel girone con anche Bulgaria e Grecia, la Nigeria di Amunike, Okocha e Oliseh si fermò agli ottavi contro l’Italia futura finalista, cui servirono due prodezze di Roberto Baggio per ribaltare, ai supplementari, il vantaggio di Amunike in 10 contro 11 per via dell’espulsione ingiusta di Zola. “Ci ha tirati giù dall’aereo”, avrebbe detto poi Arrigo Sacchi riferendosi al pareggio di Baggio arrivato a 100 secondi dalla fine. La Nigeria però aveva impressionato, e il movimento era in continua espansione. Nel 1996, sempre negli Stati Uniti ma ad Atlanta, le Super Eagles Under 23 guidate da un altro olandese, Johannes Bonfrère, vinsero la medaglia d’oro alle Olimpiadi dopo aver battuto 4-3 in semifinale il Brasile di Ronaldo il Fenomeno, Rivaldo e Bebeto e 3-2 in finale l’Argentina di Crespo, Claudio Lopez e Ortega. I nomi di quello che è passato alla storia come Dream Team? Taribo West, Okocha, Amokachi, Amunike, Oliseh, Babangida, Nwankwo Kanu. Sull’onda lunga del successo di questo squadrone, la Nigeria era pronta a sconvolgere gli equilibri del calcio mondiale. Ma non lo ha fatto.
CORRUZIONE E MALA GESTIONE DELLE RISORSE – Altri due anni, e arrivò il momento Francia '98. Le Super Eagles si affidarono all'allenatore giramondo Bora Milutinovic, una garanzia assoluta, e batterono addirittura la Spagna testa di serie e la Bulgaria di Hristo Stoichkov, perdendo l'ultima col Paraguay ma passando comunque il girone per prime. Gli ottavi contro la Danimarca, a quel punto, sembravano alla portata per Kanu e compagni, ma sul più bello l'incantesimo si spezzò. Problemi all'interno dello spogliatoio, qualche bagordo di troppo la sera prima a sentire le dichiarazioni di Taribo West, gli ingranaggi si incepparono e i danesi, guidati dai fratelli Laudrup, vinsero 4-1. Cominciò il buio. Il problema della Nigeria, intesa come Nazionale, è la Nigeria intesa come Paese. Tutto questo ben di dio, purtroppo, ha avuto la sfortuna di essere di stanza proprio nello Stato più povero e corrotto al mondo, contesto al quale non sfugge la Federazione calcistica. Nonostante Lagos e dintorni sfornino ripetutamente giocatori interessantissimi, come Oba Oba Martins e John Obi-Mikel nel primo decennio degli anni 2000, la totale assenza di serenità ha portato la NFF (Nigerian Football Federation) a commettere errori marchiani, come quello di ritirarsi in tronco dalle competizioni internazionali per due anni in seguito all’eliminazione ai gironi ai Mondiali 2010 in Sudafrica. La corruzione, finalizzata ad arrivare ai vertici del calcio nigeriano, è a livelli apicali, tanto che nell’ultimo decennio, quello successivo alla vittoria della Coppa d’Africa 2013 con in squadra talenti come il già citato Obi Mikel, Emmanuel Emenike, Ahmed Musa, Victor Moses e Ideye Brown, sono cambiati ben sei presidenti. Quello del 2013, però, è stato un bagliore nelle tenebre, spento dall’eliminazione ai Mondiali di Brasile 2014 ad opera della Francia. Curiosità: allora la Nigeria si è qualificata ancora una volta nel girone dell’Argentina, però come seconda. Tornando invece alle ragioni della mancata conferma a livello internazionale, come se non bastasse il resto, la popolazione convive con la paura di gruppi terroristici come Boko Haram e i Vendicatori del Delta del Niger, e tutto questo ha rallentato, quando non del tutto fermato l’immissione delle risorse nei settori giovanili e nei campionati nazionali, spingendo i talenti nigeriani a cercare migliori fortune in Europa. Le stanno trovando? Assolutamente sì.
IL NUOVO DREAM TEAM – Soltanto le gare di due giorni fa nelle Coppe europee fanno saltare all’occhio una coppia di attaccanti niente male: l’immenso Victor Osimhen lo conosciamo tutti, invece quel Gift Orban del Gent che ha polverizzato il Basaksehir con 3 gol in 4 minuti a Istanbul pare proprio esserne il precoce erede. Poi c’è l’atalantino Ademola Lookman che ha scelto la Nigeria invece dell’Inghilterra, cosa che potrebbe fare a breve anche Folarin Balogun, 16 reti in 27 giornate di Ligue 1 col Reims in Francia, una in più del connazionale Terem Moffi del Nizza; Paul Onuachu, che gioca nel Southampton ma che al Genk in Belgio aveva realizzato fino a gennaio 16 gol in 19 partite; è nigeriano anche il vice capocannoniere dell’Europa League, l’attaccante dell’Union Saint Gilloise Victor Boniface (5 gol, uno in meno di Rashford), e poi ci sono Samuel Chukwueze del Villarreal, Alex Iwobi dell’Everton, Kelechi Iheanacho del Leicester, Dessers e Okereke della Cremonese. Questo solo in attacco e sulle fasce offensive. Non male neanche la difesa, perché i terzini destri Tyronne Ebuehi e Ola Aina giocano e lo fanno bene in Italia (Empoli e Torino), mentre il sinistro Calvin Bassey è una colonna dell’Ajax; quanto ai centrali di difesa, William Troost-Ekong ha esperienza con Udinese, Watford e Salernitana e Kevin Akpoguma milita nell’Hoffenheim in Bundesliga. Le debolezze sono in porta, dove manca l'Onana della situazione, e a centrocampo, reparto in cui i muscoli di Wilfried Ndidi del Leicester non bastano. Servirebbe un regista, unica lacuna di una squadra altrimenti sulla carta estremamente competitiva. Toccherà a Josè Peseiro, ex attaccante portoghese, già vice di Carlos Queiroz sulla panchina del Real Madrid 2003-2004, assemblare al meglio tutti questi pezzi pregiati, una sorta di Galacticos del Terzo Mondo con la maglia della Nigeria, per la Coppa d’Africa 2024 in Costa d’Avorio e per i Mondiali 2026. Dove? Naturalmente, negli Stati Uniti (insieme a Messico e Canada). Che ai brasiliani d'Africa, storicamente, portano piuttosto bene…