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Papà Pjanic: 'L'ho portato via dalla guerra. La Juve vince, a Roma invece...'
LA DIFFERENZA CON LA ROMA - "Roma e Torino sono molto diverse, ma bellissime: ognuna ha pregi e difetti. In ogni caso, Miralem è consapevole che questo sia stato un passo avanti nella sua carriera: è in un club incredibile, perfetto per quelli che vogliono trionfare, proprio come lui. Anzi, direi che la Juve è simile a mio figlio, è ambiziosa e vincente. Il desiderio di successo è la cosa che gli piace di più: per questo è nel club ideale e si adatterà in fretta. Attenzione: anche Roma è una città per vincenti, però non so come funzioni là… All’inizio del campionato va tutto bene, poi succede sempre qualcosa. Cosa manca per completare l'adattamento? Pazienza e lavoro. Migliorarsi è possibile, questo è certo. Ma è certo anche che ci sono 4-5 giocatori nuovi, tutti di livello altissimo, che si aggiungono a campioni già in rosa come Buffon: capirsi gli uni con gli altri non è facile ma, quando ci riusciranno, le cose andranno perfino meglio di così. So che è stato accolto bene, mi dice che sono un bel gruppo. Spesso escono insieme e, come papà, questo mi tranquillizza".
PUNIZIONI AL TOP - "Il suo vero ruolo? È una domanda per Allegri, è lui che decide. Io dico che può giocare ovunque perché ha qualità e si applica. Può stare più avanzato visto perché ha l’abilità del passaggio decisivo, ma ha dimostrato di sapersi adattare anche in una zona più difensiva del campo: pure davanti alla difesa, sa organizzare il gioco. Se è il più forte nelle punizioni? Assolutamente, il migliore. Un grande insegnamento è stato allenarsi a Lione vicino a Juninho Pernambucano, ma la sua forza è stata nel creare uno stile tutto suo. Ormai possiamo dire che nel calcio esistono le punizioni alla Pjanic. Se ho capito che sarebbe diventato un fenomeno vedendolo calciare la prima volta contro il garage? Sì, ricordo bene il rumore. Da quel momento ho avuto la fortuna di seguirlo da vicino nella crescita: a 7 anni si è messo ancora di più in mostra, a 10 ho avuto la conferma che aveva un che di speciale, a 11 era nelle selezioni lussemburghesi, a 16 i dirigenti del Metz immaginavano questo grande futuro. Al momento di scegliere la nazionale, poi, è andato naturalmente sulla Bosnia: da Ibisevic a Dzeko, c’era una generazione super in quel momento. E, infatti, ci hanno portato al Mondiale 2014. È stato bello vederlo crescere, accompagnarlo in campo, prendermi cura di lui per tanti anni. Io ho interrotto la mia carriera a 32 anni quando ho capito che il figlio poteva completare il sogno del padre: per questo non mi pento di nulla".