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O Charuto do Timossi: chi guarda Genova sappia che...
Chi guarda Genova sappia che ha visto un uomo morire per strada, che ha paura, che è piena di fango e voragini, che non sa dove andare, che non sa come rialzarsi perché finita l’adrenalina, spenti i riflettori, esaurita la solidarietà le salite diventeranno troppo dure da scalare, impossibili da affrontare per chi tre anni fa aveva già perso tutto. Chi guarda Genova (foto da il secoloxix.it) sappia che le bugie fanno male, la retorica anche, che il senso civico non può andare avanti per molto in una società dove chi aveva i soldi per intervenire non ha avuto il coraggio di spenderli, dove chi aveva il dovere di migliorare la sicurezza di fiumi, argini e strade è stato premiato e ora si difende dicendo che tra i suoi obiettivi non c’era “fermare l’acqua con le mani”. Chi guarda Genova sappia che mentre un uomo morto per strada non era neppure stato seppellito, quando ancora il fango riempiva strade, piazze, negozi e case, c’era già chi stava litigando e cercando una strada, una via d’uscita fare quello che aveva sempre fatto. E cioè governare, gestire e controllare questa città e questa Regione. Probabilmente male, sicuramente non nel modo migliore. E per riuscirci bisognava fare quello che di solito fanno certi uomini della cosa pubblica, serviva comunicare, trovare l’anello debole, farlo saltare il prima possibile e poi ristringere il cerchio, riallacciare la catena.
Il sindaco della città Marco Doria ha probabilmente sbagliato molto, sicuramente tutto da giovedì notte a oggi. Prima ha esitato, poi è sparito, quindi è riapparso per raccogliere gli insulti di chi aveva visto un’altra volta andare a fondo i propri sogni, di chi stava svuotando dal fango i propri negozi o cercava di asciugare migliaia di sofisticati accessori elettronici, così, per disperazione, come ho visto fare vicino a via Archimede. Ora Doria sembra sparire un’altra volta, altri vorrebbero farlo sparire per sempre. Allora il ministro della Difesa, la genovese Roberta Pinotti, viene nella sua città e con un bell’impermeabile bianco e gli occhiali da sole passa in rassegna i suoi duecento soldati e poi dice che “altri 436” o giù di lì, vado a memoria, “sono già pronti a intervenire, però bisogna richiedere il loro intervento, come ha fatto il sindaco di Campo Ligure”. E dunque come non ha fatto il sindaco di Genova e giù una botta a Marco Doria. Però non basta e allora il governatore della Liguria, Claudio Burlando, aggiunge: “Ho parlato con Doria, lui gestisce l’emergenza a Genova, noi negli altri comuni, questi sarebbero gli accordi, ma ovviamente siamo disponibili ad aiutarlo. se c’è bisogno”. Bum-bum, mister Doria. E ora Burlando correrà a Roma, facendo capire che penserà lui a sbloccare il potere degli uffici, la burocrazia, facendo finta di non sapere che il coraggio di chi amministra può sconfiggere anche la burocrazia, alla condizione che sappia sfidare gli equilibri di chi vuole conservare il potere.
Dimentica il governatore di aver fatto tutto in politica, sindaco di Genova, ministro dei Trasporti e che il suo mandato regionale è iniziato nell’aprile del 2005. In nove anni i problemi della sicurezza idrogeologica di Genova non sono stati risolti, come dall’alluvione del 1970, come dall’alluvione che tre anni fa uccise sei persone. Servivano soldi e quando i soldi sono arrivati serviva il coraggio di spenderli e la voglia di lavorare per fare le scelte giuste. Adesso, che un altro giorno nero è andato, adesso che la certezza è che verranno giorni anche peggiori, l’assessore regionale alla Protezione Civile, la candidata alle primarie Pd per la Regione, la spezzina Raffaelle Paita, prima tace e poi scandalizzata replica: “Non sono sparita, non ho parlato perché dovevo lavorare”. Lei, che più o meno fa un tweet al minuto, stavolta non cinguetta, ma sbaglia: ora era il momento di metterci la faccia, prima bisognava lavorare per affrontare le emergenze.
Ora si può, si deve, lavorare e ammettere gli errori commessi, rivendicare pure le scelte giuste fatte, qualora ce ne fossero. Ora, quando tutti, anche la gente di buona volontà, la brava gente, dice: “Non è il momento di fare polemiche”. Invece è il momento, almeno così la penso io. Perché altrimenti tutto diventa “rumore di sottofondo” ed è così che gli americani chiamano la tattica di far ingoiare gli scandali da dettagli irrilevanti. Tutto diventa retorica, che sostituisce, che trucca un Paese incapace di proteggere i suoi cittadini, sorreggerli quando sono in difficoltà. Il punto è: questa classe dirigente ha sbagliato ed è corresponsabile di quando accaduto, quindi dovrebbe lavorare per aiutare coloro che li hanno scelti anche per affrontare la drammaticità di giorni come questi. Una volta fatto dovrebbero avere la serenità per dimettersi. Magari facciano le primarie delle dimissioni e vedranno che affluenza.
Il resto sono chiacchiere, come l’ultima demenziale trovato che conferma quanto Tavecchio sia inadeguato al ruolo di presidente della prima potenza italiana, la Federcalcio. Qualche ora fa il fu signor nessuno ha deciso di farsi un po’ di pubblicità: organizzando un’amichevole Italia-Albania a Genova, in uno stadio ora ancora pieno di fango, a due passi dal luogo dove hanno trovato il cadavere di un genovese morto per strada. Non mi importa neppure quando la giocheranno, se la giocheranno, ci ho pensato bene, la proposta mi nausea, non ha rispetto. “Devolveremo il ricavato in beneficenza”. E perché non rispettare il dolore di Genova e devolvere alla vittime dell’alluvione il ricavato di una gara di cartello della Nazionale? Perché era più logico, ma meno d’impatto. Ora scusate un attimo, ma devo sputare nel fazzoletto e forse è per tutta questa polvere che dopo il fango si alza sulle strade di Genova. C’è soloun’ultima cosa che mi piacerebbe ricordare: chi viene qui sappia che Genova resiste, ma che prima di tutto esiste e va ricordata, non solo per un’alluvione all’anno. E chi guarda Genova sappia che è una città molto incazzata, oggi più di ieri.
Giampiero Timossi (giornalista Il Secolo XIX)
Su Twitter: @GTimossi
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Il sindaco della città Marco Doria ha probabilmente sbagliato molto, sicuramente tutto da giovedì notte a oggi. Prima ha esitato, poi è sparito, quindi è riapparso per raccogliere gli insulti di chi aveva visto un’altra volta andare a fondo i propri sogni, di chi stava svuotando dal fango i propri negozi o cercava di asciugare migliaia di sofisticati accessori elettronici, così, per disperazione, come ho visto fare vicino a via Archimede. Ora Doria sembra sparire un’altra volta, altri vorrebbero farlo sparire per sempre. Allora il ministro della Difesa, la genovese Roberta Pinotti, viene nella sua città e con un bell’impermeabile bianco e gli occhiali da sole passa in rassegna i suoi duecento soldati e poi dice che “altri 436” o giù di lì, vado a memoria, “sono già pronti a intervenire, però bisogna richiedere il loro intervento, come ha fatto il sindaco di Campo Ligure”. E dunque come non ha fatto il sindaco di Genova e giù una botta a Marco Doria. Però non basta e allora il governatore della Liguria, Claudio Burlando, aggiunge: “Ho parlato con Doria, lui gestisce l’emergenza a Genova, noi negli altri comuni, questi sarebbero gli accordi, ma ovviamente siamo disponibili ad aiutarlo. se c’è bisogno”. Bum-bum, mister Doria. E ora Burlando correrà a Roma, facendo capire che penserà lui a sbloccare il potere degli uffici, la burocrazia, facendo finta di non sapere che il coraggio di chi amministra può sconfiggere anche la burocrazia, alla condizione che sappia sfidare gli equilibri di chi vuole conservare il potere.
Dimentica il governatore di aver fatto tutto in politica, sindaco di Genova, ministro dei Trasporti e che il suo mandato regionale è iniziato nell’aprile del 2005. In nove anni i problemi della sicurezza idrogeologica di Genova non sono stati risolti, come dall’alluvione del 1970, come dall’alluvione che tre anni fa uccise sei persone. Servivano soldi e quando i soldi sono arrivati serviva il coraggio di spenderli e la voglia di lavorare per fare le scelte giuste. Adesso, che un altro giorno nero è andato, adesso che la certezza è che verranno giorni anche peggiori, l’assessore regionale alla Protezione Civile, la candidata alle primarie Pd per la Regione, la spezzina Raffaelle Paita, prima tace e poi scandalizzata replica: “Non sono sparita, non ho parlato perché dovevo lavorare”. Lei, che più o meno fa un tweet al minuto, stavolta non cinguetta, ma sbaglia: ora era il momento di metterci la faccia, prima bisognava lavorare per affrontare le emergenze.
Ora si può, si deve, lavorare e ammettere gli errori commessi, rivendicare pure le scelte giuste fatte, qualora ce ne fossero. Ora, quando tutti, anche la gente di buona volontà, la brava gente, dice: “Non è il momento di fare polemiche”. Invece è il momento, almeno così la penso io. Perché altrimenti tutto diventa “rumore di sottofondo” ed è così che gli americani chiamano la tattica di far ingoiare gli scandali da dettagli irrilevanti. Tutto diventa retorica, che sostituisce, che trucca un Paese incapace di proteggere i suoi cittadini, sorreggerli quando sono in difficoltà. Il punto è: questa classe dirigente ha sbagliato ed è corresponsabile di quando accaduto, quindi dovrebbe lavorare per aiutare coloro che li hanno scelti anche per affrontare la drammaticità di giorni come questi. Una volta fatto dovrebbero avere la serenità per dimettersi. Magari facciano le primarie delle dimissioni e vedranno che affluenza.
Il resto sono chiacchiere, come l’ultima demenziale trovato che conferma quanto Tavecchio sia inadeguato al ruolo di presidente della prima potenza italiana, la Federcalcio. Qualche ora fa il fu signor nessuno ha deciso di farsi un po’ di pubblicità: organizzando un’amichevole Italia-Albania a Genova, in uno stadio ora ancora pieno di fango, a due passi dal luogo dove hanno trovato il cadavere di un genovese morto per strada. Non mi importa neppure quando la giocheranno, se la giocheranno, ci ho pensato bene, la proposta mi nausea, non ha rispetto. “Devolveremo il ricavato in beneficenza”. E perché non rispettare il dolore di Genova e devolvere alla vittime dell’alluvione il ricavato di una gara di cartello della Nazionale? Perché era più logico, ma meno d’impatto. Ora scusate un attimo, ma devo sputare nel fazzoletto e forse è per tutta questa polvere che dopo il fango si alza sulle strade di Genova. C’è soloun’ultima cosa che mi piacerebbe ricordare: chi viene qui sappia che Genova resiste, ma che prima di tutto esiste e va ricordata, non solo per un’alluvione all’anno. E chi guarda Genova sappia che è una città molto incazzata, oggi più di ieri.
Giampiero Timossi (giornalista Il Secolo XIX)
Su Twitter: @GTimossi
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