Nuovo stadio:| Vecchi divieti
È iniziato venerdì il campionato di calcio 2011-2012. Un campionato decisamente particolare per due motivi. Numero uno: è la prima la stagione in cui una squadra italiana, la Juventus, giocherà in uno stadio di proprietà. Numero due: è la stagione di una squadra, la Roma transitata dalla famiglia dell’oggi assessore comunale Rosella Sensi all’imprenditore americano Thomas Di Benedetto, che si è schierata apertamente dalla parte dei suoi sostenitori, contro la tessera del tifoso e, di riflesso, contro il ministero dell’Interno. Partiamo dalla squadra più amata – e più “odiata” – d’Italia. Da giovedì sera la Juventus ha il suo stadio. Uno stadio, per tutti, «destinato a cambiare la storia del calcio». Di un calcio, quello italiano, che guarda sempre di più al modello inglese, dove sono prima gli stadi e solo in seguito i giocatori a fare le fortune (economiche) di una squadra. Quella che oggi, in attesa di sponsor milionari che diano il nome all’impianto, possiamo chiamare Juventus Arena ricalca, come hanno spiegato durante l’inaugurazione i vertici del club, il modello Stamford Bridge di Londra, stadio del Chelsea: ai 41.837 spettatori di capienza, la Juventus Arena risponde con 41mila. Tre ristoranti in quel di Londra contro gli otto di Torino, ma si sa, la nostra cucina batte quella inglese tre a zero. Fin qui, ci siamo. A rendere molto più “italiano” lo stadio juventino, però, non sono i metri quadri di punti ristoro o di parcheggi, ma altri numeri: la Juventus Arena annovera infatti ben 34mila metri quadrati di aree commerciali laddove il Chelsea ha soltanto un negozio di merchandising. Ricostruendo poi l’iter grazie al quale lo stadio della Juventus è oggi realtà, ecco che emerge tutta l’italianità propria di un’enorme speculazione immobiliare. Come denuncia Altreconomia di settembre in un’ inchiesta dal titolo “Gli affari sono una scelta di campo”, è solo grazie a un ente pubblico – il Comune di Torino – e a una banca pubblica – l’Istituto di Credito Sportivo – se oggi la Juventus può contare sul primo stadio di proprietà privata della storia del calcio italiano. Tra il 6 dicembre 2002 e il 15 luglio 2003 il Comune di Torino prima trasforma la zona dello Stadio delle Alpi da area destinata a servizi a Zona urbana di trasformazione, quindi trasferisce per 99 anni la proprietà superficiaria e il diritto di superficie delle aree (stadio e fabbricati) alla Juventus, per un totale di 349mila metri quadrati. Il tutto per la modica cifra di 25 milioni di euo, meno di un euro al metro quadrato per ogni anno. Quindi è il turno delle autorizzazioni commerciali e addirittura di una variante al Piano regolatore per “redistribuire le consistenze edificatorie commerciali”. E così la Juventus, cedendo a Nordiconad (cooperativa che aderisce al Consorzio nazionale Conad) i 34mila mq di spazi commerciali intorno allo stadio, ottiene ben 20,25 milioni di euro. A questi si aggiungono i circa 75 milioni di euro pagati da Sportfive (agenzia del gruppo Lagardere) che dovrà trovare uno sponsor che dia il nome allo stadio e i circa 60 milioni che la Juventus ottiene accendendo due mutui. Mutui accesi, però, non presso un qualsiasi istituto finanziario a tassi di mercato, bensì presso l’Istituto per il Credito Sportivo, la cosiddetta “Banca dello sport”, soggetto pubblico. A quale tasso di interesse, però, non è dato saperlo. Passiamo ora ai tifosi, che pay tv e ministero dell’Interno vorrebbero relegati sempre di pù al ruolo di meri “clienti” del mondo calcio. L’estate 2011 verrà ricordata, a Roma, come l’estate in cui la squadra della Capitale è passata in mano a mr. Thomas Di Benedetto. Ebbene, tra le prime mosse dell’imprenditore statunitense di origini italiane, oltre all’acquisto di undici nuovi calciatori per rafforzare la squadra, ce n’è una che ha contribuito ad avvicinare la tifoseria al nuovo corso societario: un carnet di 16 biglietti acquistabile dal 23 settembre per seguire le partite in casa della Roma. In pratica, denunciano dalla maggioranza di Governo, un abbonamento mascherato da pacchetto di biglietti. Il perché di questa scelta è presto detto: far sì che i tifosi della Roma possano seguire tutte le partite allo stadio Olimpico senza per questo dover sottoscrivere la “tessera del tifoso” come invece previsto per gli abbonamenti stagionali dalle normative volute dal ministro Maroni. Neanche il tempo di presentare l’iniziativa che la Lega Nord si è scagliata contro la dirigenza romanista a difesa del “suo” ministro: «invece di importare il management e la mentalità americana, Thomas Di Benedetto si è velocemente adeguato alla mentalità romana» ha tuonato l’on. Davide Cavallotto, che ha definito «vani e squallidi i tentativi di aggirare il protocollo di intesa siglato tra il ministro dell’Interno e le società di calcio». Ma l’obiettivo della società romana è un altro, come spiega il responsabile della biglietteria dell’As Roma, Carlo Feliziani: «riportare la gente allo stadio». Una cosa apparentemente ovvia ma che in questo paese, e in questo calcio, ha dello straordinario.