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    Non chiamatelo miracolo: l'exploit del Benfica di Rui Costa è tutto ciò che la Juve ha rinunciato ad essere

    Non chiamatelo miracolo: l'exploit del Benfica di Rui Costa è tutto ciò che la Juve ha rinunciato ad essere

    • Andrea Distaso
    Vincere è l'unica cosa che conta? No. E non perché lo diciamo noi. L'ambizione e la responsabilità di raggiungere determinati traguardi è la dolce condanna che tocca a qualsiasi club con una grande storia e con un blasone importante alle spalle. Il Benfica di un uomo di campo Manuel Rui Costa ci insegna però la capacità di andare oltre certi assiomi e di sapere intravedere la possibilità di cambiare tutto e di leggere il futuro - senza rinunciare alla competitività - proprio quando i risultati ti autorizzerebbero a non abbandonare la via maestra. Bisogna essere un po' visionari, in fondo, per archiviare rapidamente un obiettivo enorme come la conquista di una semifinale di Champions League e immaginare nello stesso momento un progetto nuovo di zecca, rivoluzionario, per riportare le Aquile alla loro antica e storica grandezza.

    VISIONARIO - Via Darwin Nunez e altri 18 calciatori per un incasso complessivo di oltre 130 milioni di euro, dentro 9 volti nuovi ma soprattutto un allenatore e un'idea destinati ad abbattere ogni tipo di preconcetto e di schema prestabilito. Da strepitoso fantasista capace di cogliere linee di passaggio invisibili all'occhio del comune mortale, da presidente del club che gli ha dato i natali calcistici Rui Costa ha cercato di dare da subito l'imprinting del presidente illuminato una volta raccolta l'eredità di Felipe Vieira. E resistendo alle pressioni di piazza e a quelle interne al suo stesso consiglio di amministrazione, ha puntato gran parte delle sue fiches su un allenatore come Roger Schimdt, assolutamente avulso al contesto portoghese ma capace di incidere da subito con una proposta di gioco convincente e assolutamente al passo coi tempi.

    L'IMPORTANZA DELLE IDEE - Un gioco moderno, arioso e interpretato al meglio dai giocatori di grande qualità che il Benfica gli ha messo a disposizione: da talenti come Joao Victor, Bah ed Enzo Fernandez e i gioielli prodotti in casa come Florentino Luis, Antonio Silva e Gonçalo Ramos, passando per giocatori potenziati o rilanciati come i vari Grimaldo, Joao Mario e Rafa Silva. Nasce così l'inaspettato (e in parte fortunoso) primato in extremis nel girone di Champions davanti a una corazzata come il Paris Saint-Germain e lo strapotere tecnico esibito nel doppio confronto con la Juventus. Che oggi sta esattamente agli antipodi rispetto al Benfica: condannata dalla sua stessa filosofia che guarda all'immediato perdendo di vista la prospettiva. Che vuole tutto e subito, a costo di peggiorare una situazione finanziaria già oltre il livello di guardia; che punta sull'usato sicuro piuttosto che basare la propria rinascita sui giovani. Che continua ad impostare la ricerca del successo senza chiedersi il "come", pensando che si tratti di un mero esercizio di retorica. Vincere non può essere l'unica cosa che conta e il Benfica e Rui Costa ci stanno spiegando il perché.

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