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    Napoli, Insigne come Troisi: 'La guardavo e m’innamoravo'

    Napoli, Insigne come Troisi: 'La guardavo e m’innamoravo'

    Colta e dannata. Gioiosa e inquietante. Di una generosità assoluta, profonda, sincera. A volte eccessiva. Di una forza aggregativa e socializzante senza eguali in Italia. In una parola: Napoli. Ma è tanto altro ancora. Troppo, per riassumerlo in poche righe.

    Prima di tutto: Napoli è una città ricca di una cultura sconfinata. Tema che sembra ormai dimenticato nella maggior parte degli stadi italiani, dove la sottocultura la fa da padrona. L’ultimo caso, in Verona-Napoli di domenica scorsa, è soltanto una delle tante “manifestazioni” a cui siamo tristemente abituati da un bel po’. Insulti a Insigne. Gravi. Pesanti.

    Non per timore verso il campione della squadra avversaria. Niente affatto. E allora? E’ un napoletano. Punto. Verace, legato visceralmente alle sue origini. E tanto è bastato a una parte del Bentegodi per farne il bersaglio numero uno, dall’inizio alla fine della gara. Lorenzo, ha risposto nel miglior modo possibile, da campione: destro preciso, palo, goal. Napoli in vantaggio e contestatori zittiti. In più, ha baciato con orgoglio la maglia. Ne vediamo tanti in giro di giocatori ruffiani, disposti a baciare di tutto pur di entrare nelle simpatie dei propri tifosi. Quando lo fa uno come Insigne, in quel preciso momento, beh, ci riavvicina davvero a questo sport in cui la passione sembra ormai schiacciata dal moderno sport-business. E questo, ovviamente, va al di là dei colori di appartenenza.

    Amore per Napoli abbiamo detto, capacità di creare passione nella gente. Bene. E allora permetteteci un dolce salto nel tempo, una similitudine, forse azzardata, tra due artisti nei loro campi: Insigne, appunto, e lo splendido Massimo Troisi. Già, Troisi. Uno dei più grandi rappresentanti della commedia napoletana. Tutt’altro che chiassosa, invadente e volgare.

    Anzi, l’esatto opposto: il vero napoletano, diremmo quello originale, è altro. Massimo lo ha descritto alla perfezione, mostrando quell’allegria contagiosa ma rispettosa, elegante e popolare, come un abbraccio caloroso e silenzioso. Come una risata fragorosa che termina con un silenzio educato, gentile. Un voler ridere gioioso che nasce dal bisogno di comunicare quell’allegria spesso celata, riservata; e che rimane, proprio per questo, composta, dolce. Ci ha lasciato presto. Troppo presto. A poco più di quarant’anni, per problemi cardiaci. Scrisse di lui Benigni: “Morto un Troisi non se ne fa un altro”. Già.

    Nel ’94 il suo l’ultimo capolavoro: “Il postino”. Poco prima di girare il film il suo cardiologo di fiducia gli consiglia di operarsi, necessita di un trapianto. Troisi non vuole sentir ragioni: “Questo film lo voglio fare con il mio cuore”. Così fa. Fatica molto a girare le ultime scene. Il cuore cessa di battere nel sonno, dodici ore dopo aver girato l’ultima parte.

    Nella pellicola, lui, un umile postino figlio di pescatori, conosce Pablo Neruda, che gli apre le porte della poesia. Nel frattempo, s’innamora di una ragazza che lavora in un’osteria. “Non le ho detto niente. La guardavo e m’innamoravo”, confessa. Già, come con Napoli.


    Raniero Mercuri

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