Bucciantini: Napoli, il problema è il capitano
Dieci partite senza sconfitte, ma cinque pareggi a frenare altrettante vittorie: così un periodo di grande condizione psico-fisica, con momenti di ottimo calcio (contro la Roma e la Fiorentina, e anche a Bergamo), porta 20 punti, che sono molti ma è la media che ingessa le ambizioni del Napoli al terzo posto, perché sopra si va più forte. Questa andatura è la stessa degli ultimi due campionati: non è vero che il Napoli manca di continuità, anzi, è una garanzia. Manca di livello: il fatto che sappia giocare partite immense contro le due squadre più forti (ha dominato la Juventus e la Roma nelle ultime visite al San Paolo) non deve ingannare: è una precisa caratteristica tattica e tecnica, non un rimpianto. Chi ricava da quelle magnifiche partite argomenti per rimproverare a Benitez la distanza in classifica, rifiuta di vedere i limiti della squadra, fragile nei suoi stessi punti di forza: Koulibaly è alterno per indole, sa esaltarsi e deprimersi senza avviso. Hamsik è immenso se trova gli spazi e se la squadra – tutta – trova i tempi di gioco fluidi, che lui sa leggere. Ma fatica se qualcosa s’intasa o s’inceppa, e lui stesso non sa trarre fuori dai guai la squadra, non sa cambiare una partita. L’unico “regista” è Higuain, che ha visione ma da lassù non può governare l’azione. Nel mezzo, con Roma e Fiorentina giocarono David Lopez e Jorginho, poi è tornato Inler, che rallenta troppo l’azione, compromettendo i movimenti degli esterni e di Callejon, e quindi togliendo dal gioco anche Hamsik. Questo è forse l’unico appunto a Benitez, che doveva insistere su un assetto che aveva mostrato più armonia. Certo, l’assenza di Insigne ha impoverito l’attacco e soprattutto ha semplificato il lavoro dei difensori su Higuain e Callejon, raddoppiati con minor affanno. Però la differenza – netta, strutturale – fra Juventus, Roma e Napoli è nella “quantità” dei giocatori: le prime due in classifica hanno molti giocatori capaci di rendimento elevato per 35 partite l’anno. Il Napoli no. Qualcosa lascia sempre per strada, prima o poi, e molti giocatori (a digiuno di scudetti nel curriculum, a parte gli ex Real) sembrano mancare di quella mentalità vincente che aiuta a passare d’inerzia su certi ostacoli. Decidere a freddo che il Napoli valesse lo scudetto è stato un errore di valutazione, anzitutto del presidente. È certamente un’ottima squadra capace di giocare un calcio d’attacco, veloce, imponente, indifendibile, e di sprigionare bellezza superiore nel breve periodo anche a Roma e Juventus. Ma non ha le qualità tecniche diffuse, né la quantità del rendimento dei singoli e nemmeno la personalità per vincere uno scudetto. Resta poi insoluto il valore di Hamsik, che sembra lui stesso la diagnosi del Napoli: nel suo ruolo, o si insiste sul genio o si punta sul rendimento, spostando la qualità pura altrove. Hamsik non possiede né genio da spiazzare e invertire i match, né quel rassicurante rendimento per troppe partite consecutive. Per come si esprime, andrebbe usato come 12esimo uomo, magari inserirlo quando il campo si apre, per sopraggiunte stanchezze. Il Napoli è questo, proibito per lo scudetto, favorito per il terzo posto, non c’è dubbio, e se saprà raccogliersi nei momenti decisivi, l’Europa League può esaltarne i pregi, e limitare i difetti di “durata” e tenuta.
Sarebbe disonesto non considerare l’avversaria. La Sampdoria non era affatto banale, anzi, occupa il campo benissimo, e con più uomini, ovunque. Il dinamismo del centrocampo è incredibile: Obiang (e Duncan nella ripresa), Rizzo e Soriano sanno addensare l’attacco come la difesa. Hanno fra i 22 e i 23 anni, sanno fare molte cose e combinano quantità e qualità, permettono a Palombo di ridurre i compiti all’amministrazione, che fa ancora discretamente. Obiang ieri sera è stato inferiore al solito, e Mihajoliv ha temuto che prendesse la seconda ammonizione, ma sarebbe perfetto per molte squadre che giocano con la mediana a due (nel 4-2-3-1, per esempio, come il Milan, o lo stesso Napoli). Okaka è una fiducia totale, che lo porta a sfidare chiunque, a tutto campo. Eder vive di momenti, da sempre, e adesso è quello giusto. Romagnoli è già adulto “da Nazionale”, dice Miha, e non ha ancora compiuto 20 anni. Però sono righe sbagliate, perché cercano singoli, quando invece è l’insieme che fa forte la Sampdoria: Mihajlovic ha diffuso personalità a tutti, sa far respirare e vivere la squadra come fosse un solo giocatore. Ma c’è anche qualità che garantisce tenuta, quando le energie giocoforza mancheranno. E ieri in panchina c’erano almeno due cambi all’altezza per reparto. Per finire, va detto che i meriti maggiori della Samp sono pareggiati dalla conferma che Rocchi usa un criterio molto personale di valutare i rigori, e danneggia il Napoli.
Le partite precedenti avevano confermato un po’ tutto, la fenomenale insaziabilità della Juventus (che in inferiorità numerica va con due difensori a recuperare palle a 70 metri dal proprio portiere, e con due mediani fraseggia verso la conclusione decisiva), la ritrovata pienezza della Fiorentina, dove Cuadrado sembra finalmente inserito in un discorso tattico, e Mati Fernandez “arretrato” è capace di tessere a piacimento, la logica del Milan quando rinuncia a Torres, per muovere l’attacco, e anche l’impressione di compiutezza tattica di Palermo e Genoa. Gasperini ha creato una squadra di mostruosa duttilità. In trasferta arriva meglio in porta, in casa imposta partite più tattiche e speculari, ma è vero anche che ha affrontato Juventus, Lazio, Napoli e Sampdoria, cioè il meglio a parte la Roma. I siciliani sono i migliori del campionato nelle ripartenze da lontano: in questo, è decisivo Dybala, che fa appoggiare i disimpegni. Poi può decidere: avviarsi verso la conclusione, dialogare con gli altri, assecondare il gioco senza palla di Vazquez. L’argentino è un giovane deposito di qualità, sa fare tutto e velocemente, lavora da centravanti, da seconda punta, da ala e da trequartista. È così forte che è già un rimpianto: ormai, è preda per i club più ricchi, la Serie A lo perderà, e perderà molto. Chi legge questa rubrica, sa che lo consigliammo all’Inter due mesi fa: era già tutto evidente, e costava un soffio meno…
La partita di Roma ha infatti confermato l’atroce fatica dell’Inter nel dare aria alla manovra. Mancini ha ereditato i problemi che angosciavano Mazzarri: lacune strutturali che molti tifosi qui sotto hanno sempre contestato, ma – ahi loro – ci sono. Mancini ha liberato qualche metro di campo, e gli spazi sembrano avere maggiore considerazione. Ma non c’è contributo degli attaccanti, capaci sì di finalizzare (a parte Palacio) ma assenti dallo sviluppo del gioco (soprattutto Palacio, che saprebbe farlo come pochi altri). Servirebbe allora una geometria complessiva e movimenti così puntuali che sono negati dalle caratteristiche dei giocatori che condizionano il gioco. Eppure, c’è da scommettere che qualcosa migliorerà, al di là degli interventi di gennaio (indispensabile un’ala d’attacco e un centrocampista veloce di pensiero). L’Inter corre un po’ di più perché si è procurata meglio gli spazi. Ma la migliore analisi della partita resta di Pjanic, cinica proprio perché sincera: “Non è stata una partita difficile. L’Inter ha segnato due gol casuali, noi abbiamo giocato e creato, non abbiamo avuto mai paura di non riuscire a vincere”. Forse è un’analisi troppo essenziale (ma Mancini era più deluso dei commentatori e degli esperti, va ricordato). Sicuramente, gli inciampi del Napoli ravvivano le speranze di squadre ancora in cerca di se stesse: la lotta per il terzo posto – e in generale per l’Europa – invece di selezionare squadre, le accumula.
Marco Bucciantini