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    Morto il leggendario Carbajal, il primo a giocare cinque Mondiali. Il ritratto

    Morto il leggendario Carbajal, il primo a giocare cinque Mondiali. Il ritratto

    • Furio Zara
      Furio Zara
    La notizia della scomparsa di Antonio Carbajal detto “El Tota” - avrebbe compiuto 94 anni il 7 giugno - rievoca il contorno di un mondo sommerso, quello frequentato da un calciatore - anzi, un portiere: e lui stesso ci teneva parecchio a marcare la differenza - che ha segnato un’epoca, contribuendo con le sue parate e la sua longevità di carriera a una narrazione che non smette di incantare gli appassionati di calcio. Il messicano Carbajal è stato il primo nella storia del calcio ad aver disputato cinque mondiali di calcio. E a scendere - particolare non di poco conto - almeno una volta in campo in ognuna delle edizioni a cui ha preso parte. Snoccioliamo l’elenco: Brasile 1950, Germania 1954, Svezia 1958, Cile 1962 e Inghilterra 1966. Giocò la prima partita al Maracanà e l’ultima a Wembley: se ci pensate, non è da tutti. 

    Curiosamente Toño, era così che lo chiamavano amici e compagni di squadra, riuscì a mantenere sua porta imbattuta solo in un’occasione, in un Messico-Uruguay 0-0 del 1966. Carbajal era del ’29, aveva ventuno anni quando partecipò alla prima coppa del mondo e trentasette quando timbrò l’ultima. Nell’arco di sedici anni - dal 1950 al 1966 - ha scritto di proprio pugno una storia bellissima, nonostante il suo record sia stato poi eguagliato da altri campioni, quali Gigi Buffon (che ha partecipato a cinque edizioni ma ne ha giocate quattro) e Lothar Matthaus, Leo Messi e Cristiano Ronaldo, e tre suoi connazionali: i messicani Rafa Márquez, Guillermo Ochoa e Andres Guardado



    Carbajal non è stato il più grande portiere del suo tempo. Più iconico e più meritevole di lui, il russo Lev Jascin. Erano coetanei. Tra i due c’era grande amicizia. Una volta Carbajal gli regalò un tappeto con ricamati i loro nomi, un martello, un fucile e la scritta “Mexico 70”, il Mondiale mancato da entrambi. Aveva un volto da divo, lo sguardo severo, i baffi folti, la bocca carnosa. Teneva un portamento elegante. In campo indossava preferibilmente completi scuri, come si usava all’epoca. Parava a mani nude, senza guanti., Raccontava che così poteva avere più confidenza con il pallone, sosteneva che i guanti - se uno era bravo - non servivano a nulla. Era nato a Città del Messico e il padre - che faceva l’autista di bus in un istituto scolastico - sognava un figlio medico. Ma il ragazzo - che già lavorava in una vetreria - aveva altre idee per la testa. Gli piaceva giocare a calcio, prima da centravanti, poi in porta, sempre e solo in porta, come se un destino avesse scelto per lui. 

    Antonio Félix Carbajal Rodríguez - questo il nome completo - cominciò a giocare giovanissimo nel Real Club España: fu grazie alle sue prestazioni che guadagnò la convocazioni alle Olimpiadi del 1948. Dopo un biennio sarebbe passato al Leon, che rimase il suo club fino alla fine della carriera, per sedici anni, vincendo un paio di titoli nazionali (nel 1952 e nel 1956) nella squadra guidata dallo spagnolo Antonio Lopèz Herranz. A ben vedere, la sua bacheca - considerata la sua fama - non è molto ricca; ma il nome di Carbajal assume uno spessore internazionale grazie al filotto di Mondiali disputati. Smise di giocare come detto a trentasette anni, poi cominciò una carriera di allenatore che - tra alti e bassi - lo portò nel 1975 a vincere il titolo messicano alla guida del Deportivo Toluca. Alla fine del Novecento la FIFA stilò una classifica dei 100 migliori giocatori della storia del calcio. C’era anche lui. Ne fu molto orgoglioso, ma allo stesso tempo consapevole che - più che le sue doti tecniche - era stata premiato il suo record. 
     

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