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    Montolivo alla riscossa: 'Tornerò in Nazionale, più forte dell'odio sui social'

    Montolivo alla riscossa: 'Tornerò in Nazionale, più forte dell'odio sui social'

    Riccardo Montolivo si racconta a 40 giorni dall'infortunio in Nazionale. Il centrocampista del Milan ha dichiarato in un'intervista a La Repubblica: "Fischiare uno che esce in barella è scandaloso, per chi ha un minimo di sensibilità. E i social, come disse Umberto Eco, hanno dato voce a legioni di imbecilli. Internet è un mondo senza regole: utile, ma da usare con raziocinio. Mi è venuto spontaneo rispondere su Facebook. Rispetto le critiche, ma nell'ultimo periodo si è esagerato sui social, senza filtri. Molti si saranno riconosciuti nel mio post. Ho ricevuto tanti messaggi di solidarietà e affetto, di compagni, avversari, atleti di altri sport. I più importanti quelli di Parisse e Datome, capitani delle nazionali di rugby e basket, che non conosco. E quello di Buffon: non ha avuto paura di prendere una posizione forte, anche contro una parte di tifosi probabilmente della sua squadra. Allo stadio, dove parte del pubblico mi ha applaudito, entra in gioco il campanilismo: il tifo fa perdere lucidità. E i social diventano valvola di sfogo contro sportivi o personaggi pubblici. La contraddizione dei social inizia dalla parola stessa. Hanno ben poco di sociale: sei chiuso nella tua stanza, davanti al pc. Ho tolto le stampelle. Guarderò, allo stadio o alla tivù, la partita Italia-Germania, che non è mai amichevole. Porto scarpette e parastinchi con le due bandiere. Mi sento anche tedesco, ma per cultura, anche calcistica, sono più italiano. La Nazionale è in costruzione, per arrivare al livello della loro, che sforna talenti di continuo. Ventura ragiona verso il Mondiale e oltre. A Kiel, nella città di mamma, sul Baltico, passavo le vacanze. Vidi lo 0-0 col rigore sbagliato da Zola a Euro ‘96, circondato da ragazzi tedeschi. In finale festeggiai quasi da ultrà la loro vittoria. E Italia- Germania la giocavo in spiaggia: due contro due, con mio fratello contro due amici. Vincevamo noi. Quei ragazzi li sento ancora, ma in Germania è rimasto solo zio Jochen, fa il giornalista sportivo a Friburgo. Quest’estate mi ha intervistato. Mi aiuta a capire il punto di vista dei media. Le critiche ragionate fanno parte del mio mestiere. Non mi atteggio a duro, ma non tiro indietro la gamba. Nella prima parte della carriera non ho avuto infortuni seri. Nella seconda ho compensato purtroppo. Sono fatalista. La maglia azzurra è speciale. Nelle grandi competizioni senti un Paese intero dietro di te. È un’emozione bellissima. Il contraltare sono il Mondiale e l’Europeo persi e il ginocchio da rimettere a posto. Maggio 2014, amichevole con l’Irlanda a Londra, la mia seconda volta da capitano. Ginocchio di Pierce contro la mia tibia: rotta. Pesante perdere quel Mondiale, nel pieno della carriera".

    "Prandelli? In Italia c’è poca memoria e il gusto di demolire. Giocavamo bene, con il centrocampo rotante: secondi all’Europeo. È mancato l’ultimo gradino. Lanciavamo messaggi importanti: la partitella sul campo di Rizziconi confiscato alla ‘ndrangheta, la visita ad Auschwitz. Dopo l'operazione non sopportavo i mezzi di sintesi nella gamba, prendevo farmaci contro il dolore. Mi sono rioperato a fine stagione. Poi l'Europeo perduto per un infortunio banale. Recuperavo da un risentimento a un polpaccio e mi sono fatto male all’altro, a Malta, nel postpartita per chi non aveva giocato. Infine, la Spagna. Palla non pericolosa: non c’era bisogno di entrare con quell’irruenza. Ramos ha fatto il classico intervento per intimorire. Dolore pazzesco. Mentre facevo la risonanza, speravo che il professor Castellacci mi dicesse che non era niente. Macché: crociato rotto, collaterale lesionato".

    "I social li uso per i contatti e per informarmi. L’età mi permette di gestirli. Ma ai colleghi più giovani consiglio di farsi seguire da professionisti della materia. Con gli infortuni capisci chi ti sta vicino sempre e chi solo per convenienza. Mi godo la famiglia e mia figlia. Nel mio recinto restano in pochi. I compagni del Milan, a Verona, hanno sventolato la mia maglietta. Non sono egoista, gioco dove serve: non piace alla critica, ma a compagni e allenatori sì. A Firenze fui votato capitano. Ho esordito in Azzurro nel 2007, ho giocato con 5 ct. Erano tutti pazzi? Sono orgoglioso della mia carriera. Ora penso solo a guarire. Ma a 31 anni non voglio che la mia ultima immagine in Nazionale sia quell'uscita in barella dallo Juventus Stadium". 
     

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